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CHEZ NOUS - Federica Bruni (2.04)

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Apr-01-20 Coronavirus, il lavoro a distanza porterà a un’evoluzione digitale. Nessuno vorrà più tornare indietro
Apr-01-20 Per favore, non chiamatelo smart working
Apr-01-20 Coronavirus, il Forum del Terzo Settore lancia l'allarme per il mondo del non profit e del volontariato
Apr-01-20 «Hanno dimenticato il Terzo settore, ma non si riparte senza il sociale»
Apr-01-20 Intervista di Stefano Zamagni per "Vita non profit"
Apr-01-20 Coronavirus, Forum “Indispensabili aiuti straordinari per il Terzo settore e un’attenzione particolare al Sud”
Apr-01-20 Cooperative e Coronavirus: «Noi che resistiamo»
Apr-01-20 Le cooperative sociali innovano il welfare

Federica Bruni è Assistente Sociale, esperta nella integrazione tra Servizi Sociali e Politiche attive del Lavoro.

È operatrice del Mercato del Lavoro per orientamento, consulenza di formazione del personale, inserimento lavorativo e aggiornamento dei lavoratori.

Tra gli ambiti di studio e di progettazione: le nuove forme di lavoro; la Teoria delle Reti e le applicazioni nei servizi per l'inclusione sociale e lavorativa; sistemi di accreditamento dei servizi di welfare; forme del lavoro non remunerato; povertà ed impoverimento; sistemi di governance; provvedimenti a sostegno delle persone senza reddito.

Ha lavorato per la promozione di un welfare generativo, attraverso la costruzione di servizi per le famiglie in un’ottica di welfare comunitario; di associazionismo, promozione sociale e forme di volontariato; di animazione socioculturale; di segretariato sociale nei servizi integrati lavoro-sociale-casa.

Ha maturato profonda esperienza nel Terzo Settore da anni, con attenzione alla normativa sull’associazionismo e al ruolo che il volontariato svolge a contrasto delle nuove forme di povertà e dei sistemi di integrazione.

Durante gli anni di carriera ha raccolto riflessioni e valutazioni sulla qualità dei servizi per il lavoro, teorizzando l’integrazione tra i servizi sociali e le politiche attive per il lavoro. Ha, inoltre, promosso iniziative di welfare aziendale come ulteriore strumento per la costruzione di una comunità generativa.

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:18am by Anna Marini
Title: Coronavirus, il lavoro a distanza porterà a un’evoluzione digitale. Nessuno vorrà più tornare indietro

di Francesco Giubileo e Francesco Pastore

L’epidemia di Coronavirus – ma è di ieri la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha elevata al rango di pandemia – in Italia sta producendo effetti devastanti sul mercato del lavoro. Il rischio più evidente e grande è che colpirà duramente nel periodo estivo, danneggiando così la punta di diamante del nostro sistema economico, soprattutto l’occupazione, poiché il turismo è una delle poche attività rimaste ad alta intensità occupazionale, e l’unica a garantire occupazione in specie in alcune aree.

Attraverso il turismo passa una buona parte del mercato del lavoro italiano, a spanne il 15-20% dell’occupazione totale. Non si tratta solo degli addetti alla ristorazione o al settore alloggi, poiché saranno colpiti (direttamente o indirettamente) anche coloro che lavorano nelle attrazioni culturali, nel settore delle pulizie o, più in generale, nell’ampio settore del cosiddetto Made in Italy. Insomma, parliamo di almeno 6-8 milioni di addetti.

La pandemia non terminerà tra qualche settimana, come qualcuno pensava solo qualche giorno fa. Si può pensare che ci vorranno mesi per uscire del tutto da questa specie di incubo in cui siamo tutti immersi. Nel 2003, a causa della Sars (la cosiddetta influenza aviaria), Hong Kong fu bloccata per diversi mesi. Ancor di più, in questo caso, è lecito aspettarsi un periodo di “stasi” di almeno qualche mese. Del resto, i flussi turistici non riprenderanno subito dopo la fine della pandemia, ma solo qualche tempo dopo, quando i turisti stranieri riacquisteranno la certezza di non essere contagiati venendo di nuovo nel Belpaese.

Appena la pandemia sarà terminata, servirà un piano straordinario di politiche attive del lavoro, volto alla rapida ricollocazione di un elevato numero di disoccupati, i quali si troveranno di fronte ad una vera e propria evoluzione digitale dei servizi al lavoro, prodotta dall’obbligo di lavoro a distanza che si sta diffondendo in questi giorni in ogni settore dell’economia a causa del rischio contagio. Non solo scuole e università, ma anche aziende, banche e ogni altra attività economica, soprattutto nel privato e che non può chiudere, si sta svolgendo attraverso il supporto digitale.

Anche il mercato del lavoro sta subendo un processo spinto e improvviso di digitalizzazione. In pochi giorni, la fase di recruiting, in particolare, è stata rivoluzionata e, in poco tempo, sarà talmente avanzata e conveniente rispetto a quella precedente che nessuna azienda o agenzia di selezione tornerà indietro.

Oggi al candidato ad un posto vacante viene inviato un link (oppure un accesso ad un account) per auto-somministrarsi strumenti come “Talent insight” o “Profile xt”, la restituzione degli esiti avviene entro al massimo un’ora e, se va bene, si viene successivamente contattati tramite Skype per il colloquio di lavoro. Addirittura, in alcune professioni che si svolgono nell’ambito della gig economy, datore e lavoratore potranno non incontrarsi mai. Tutto avviene tramite il canale digitale (situazione che nel futuro sarà sempre più frequente).

Ora, se questo è ormai il passaggio consolidato, quanti dipendenti dei Centri per l’impiego (Cpi) conoscono “Talent insight” o “Profile xt”? Quanti sono in grado di orientare bene per colloqui via Skype? Certo alcuni settori, come il turismo a conduzione familiare, recluteranno ancora con i canali “informali” (almeno fino a quando la generazione dei nativi-digitali non diventerà titolare), ma l’elenco delle mansioni (ormai si va dall’addetto alle pulizie al disegnatore industriale) e delle aziende che utilizzano i canali digitali sarà sempre più ampio, fino a raggiungere la totalità del mercato del lavoro.

Non mettiamo in dubbio che all’interno delle strutture di collocamento pubblico vi siano funzionari aggiornati con queste competenze, ma il modello deve diventare universale e sistemico su tutto il territorio nazionale. Pertanto, è fondamentale che nella fase di rafforzamento di questi nuovi Cpi le nuove risorse umane padroneggino tali strumenti.

Nel frattempo, si potrebbe acquistare la competenza delle Agenzie private del lavoro per fornire ai disoccupati queste nozioni. Vediamola come una “Dote/Voucher di sapere digitale” che potrebbe essere assegnata ai disoccupati, soprattutto in alcuni settori più fortemente digitalizzati, per acquisire le nozioni di base necessarie all’utilizzo dei nuovi strumenti di recruiting.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/12/coronavirus-il-lavoro-a-distanza-portera-a-unevoluzione-digitale-nessuno-vorra-piu-tornare-indietro/5733955/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:25am by Anna Marini
Title: Per favore, non chiamatelo smart working

Dopo l'entusiasmo iniziale stiamo tutti sperimentando i limiti di un modo di lavorare che, senza la possibilità di scelta, perde di senso

Tra le tante prove di stress a cui l’Italia è sottoposta in questi giorni ve n’è una che fornirà materia di riflessione a tutti gli studiosi di organizzazioni e a qualche ingegnere informatico. Riguarda i 554 mila lavoratori (dati Ministero del Lavoro) che in due settimane hanno dato vita al più rapido esperimento di smart working del mondo occidentale. Effetto del Covid-19 e del decreto del 23 febbraio, che con un tratto di penna ha quasi raddoppiato d’imperio il numero di “telalavoristi” (fino a quel momento 570 mila, il 2% della popolazione lavorativa), ha imposto picchi tra il 20 e il 50% al traffico telefonico, ha messo a nudo i limiti della banda larga nazionale (76% degli utenti esclusi, contro il 40% della media Ue). Tre effetti difficilmente replicabili in vitro, sperimentati tra i tanti anche da chi scrive. Ecco dunque alcune osservazioni “in diretta”.

Oltre l'euforia, cosa ci dice l'esperienza diretta

La prima è che l’effetto euforizzante abitualmente descritto dalle statistiche sullo smart working decresce al passare dei giorni (e non solo per le notizie che arrivano dalle corsie). I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano dicono che i televoratori sono mediamente più soddisfatti degli altri in termini di organizzazione (il 31% contro il 19%) e di relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23%); sono più contenti degli output (76% rispetto al 55%); si sentono fieramente “ingaggiati” nel contesto di lavoro (il 33% rispetto al 21%). Bastassero i numeri a fare l’umore, saremmo già a metà del guado. E nei primi tre giorni, mentre i cortili si fanno silenziosi come dopo una nevicata, l’esperimento sembrerebbe perfino dare ragione alle statistiche: la banda all’inizio funziona (“almeno in questo, vivere a Milano aiuta”, mi dice un amico), si impara a scegliere la piattaforma di call giusta (scoprendo che proporre Skype è come parlare della battaglia di Algeri a un ventenne di oggi), si decide con disciplina di osservare tutti i decaloghi del lavorare in remoto prontamente sfornati dai media: essere puntuali, stilare un’agenda stringata e condivisa, eleggere un moderatore, inviare un meeting report…

Ma a un certo punto la netiquette non basta più. Come in ogni gara a tappe, iniziano i tornanti e le gambe si fanno un po’ più dure. Avviene al giorno 4, call numero 14. Si inizia allora a capire la differenza tra telelavoro e smart working. Che a norma di legge (la 81/2017) starebbe in questo: da una parte lavorare da casa negli orari prescritti dall’azienda, dall’altra lavorare in modo “flessibile”, cioè scegliendo con l’azienda orari, luoghi e tecnologie. Ai nostri fini la parola chiave è “scegliere”. In questo caso, di certo non si può scegliere il luogo.

Quanto alle tecnologie, dopo l’ennesima riunione video tra Perugia e Trapani, si tocca con mano che la tenuta dell’infrastruttura (larghezza e velocità di banda) decresce all’aumento del carico di utenti, e la cosa non è irrilevante per una organizzazione smart. Senza andare troppo lontano, si scopre dai giornali che la gara da 1 miliardo per le cosiddette aree bianche – quelle in cui vivono 14,7 milioni di italiani non coperti da rete veloce – è stata vinta da Open Fibra nel 2015, i lavori sono partiti a fine 2018 e ancora in 11 milioni stanno aspettando che la fibra arrivi. Occhio, perché non si parla solo di Sud: i Comuni affetti da digital divide in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono oltre 2.300.


I tre gradi di libertà del vero smart working

Dunque, ecco il primo equivoco. Chi in questi giorni sparge ottimismo su uno degli effetti collaterali di questa indecifrabile crisi (“Avremo almeno scoperto l’utilità del lavoro agile”) finge di ignorare una variabile essenziale della dimensione smart: la libera scelta, condizione per un’autentica flessibilità. Al giorno 6, verifichiamo in prima persona che se siamo lavoratori dipendenti - e ancor più se abbiamo collaboratori che da noi “dipendono” - avremmo bisogno di almeno tre gradi di libertà in più.

Il primo livello sta nella possibilità di condividere con la nostra organizzazione finalità e motivazioni del progetto di smart working che si è scelto (o si sceglierà) di mettere in campo. È un progetto di ricompensa per i più performanti o è fatto per aiutare le persone a gestire il carico familiare? Intende ridurre gli impatti di CO2 o i costi aziendali? Serve forse a promuovere una cultura organizzativa basata sull’inclusione e il dialogo? È essenziale che tutto questo sia portato in chiaro e definito insieme, tra azienda e lavoratore. Quando la bufera sarà passata, sarà da un patto iniziale sulle finalità che ripartiremo nelle nostre organizzazioni, soprattutto piccole, soprattutto se centrate sui servizi. Non solo per un tema di costi, sarà questo il settore che si muoverà per primo. I dati dell’indagine PMI Welfare Index 2019 svolta da Generali in tema di welfare aziendale dicono che nel macro-settore Commercio e Servizi e in quello degli Studi e Servizi Professionali, l’adozione di telelavoro e smart working ha superato in Italia il 10% contro una media del 5,3%. Intendersi sui bisogni è più facile nelle realtà snelle, in cui le gerarchie sono meno rigide le procedure meno formalizzate. E allineare gli obiettivi (“quali le finalità per cui sto scegliendo il lavoro agile”) sarà cruciale per assicurare la leva di motivazione, rendere gli effetti duratori, evitare l’effetto criceto.

Il secondo grado di libertà ha a che fare con il grado di maturità culturale dell’azienda. Lo smart working è flessibilità allo stato massimo, perché è tarato su un doppio set di esigenze da incastrare, quelle dell’azienda e quelle del lavoratore. Si fonda su un paradigma opposto a quello del “decido e controllo”, cioè “delego e responsabilizzo”. Necessita di un clima di fiducia che guarda ai risultati e lascia libertà sulle modalità. Per dirla in metafora: non cura il gesto atletico di chi corre, ma guarda al traguardo. Presuppone insomma un assetto culturale che contamina la tradizione del lavoro dipendente con elementi organizzativi che appartengono da sempre all’universo delle libere professioni, per antonomasia fondate sull’autodeterminazione. La questione è: quante aziende sono oggi in Italia in grado di compiere questo passo lungo? Di sicuro questi giorni avranno permesso uno straordinario stress test di cultura aziendale anche alla nostra organizzazione.

Infine il terzo grado di libertà, quello che attiene alla governance e cioè ai soggetti che valutano l’impatto. La domanda chiave è: all’interno dell’organizzazione qual è la funzione che ha in carico l’attuazione dello smart working? Se parliamo di grandi imprese è l’ufficio HR a gestire la cosa in autonomia o la condivide con le funzioni di vertice, cioè con chi si occupa della strategia? Il lavoro agile funziona tanto più se è assunto come leva dello sviluppo e della strategia complessiva, e la questione riguarda anche le piccole e medie organizzazioni. Occorre dunque imparare a creare le metriche di valutazione soggettiva (soddisfazione) e oggettiva (performance) del lavoro agile e procedere a misurazioni periodiche. E trasformare ciò che si rileva in sapere condiviso, in leva di miglioramento continuo. L’obiettivo è evitare le ridondanze organizzative e snellire i colli di bottiglia nei processi di attuazione. Lo schema è: testare, misurare, testare nuovamente, stabilizzare. Serve un governo dello schema.

La libertà (che manca) al tempo del Coronavirus

Appare evidente - e non c’è più bisogno di ricorrere all’esercizio retorico del diario di bordo - per rendersi conto che questi tre gradi di libertà sono totalmente assenti in ciò che sta accadendo in questi giorni. Quel che viviamo è un gigantesco stato di necessità, una inevitabile e sofferta deportazione lavorativa entro le mura domestiche: nessuno l’aveva prevista, né programmata e men che meno scelta. Date queste condizioni, oltre a un utile esercizio sulle infrastrutture di rete, l’apprendimento possibile è a prima vista tutto in negativo. Dice semmai cosa non fa bene allo smart working: la mancanza di scelta, di condivisione sugli obiettivi, di consonanza culturale tra le parti, di metriche di valutazioni comuni, di governance dei processi.

Chi sui media vende questa emergenza come “un’occasione per sperimentare il lavoro agile” fodera di retorica una necessità di cui siamo tutti spettatori e non attori, invitati riluttanti “per decreto”. Ci sarà tempo per sperimentare, creando i laboratori giusti e le condizioni indispensabili. Ma tra le fake news che affaticano questo tempo risparmiamoci almeno questa: non era di smart working che parlavamo. Era solo una colossale prova di evacuazione.

https://www.secondowelfare.it/privati/aziende/per-favore-non-chiamatelo-smartworking.html

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:32am by Anna Marini
Title: Coronavirus, il Forum del Terzo Settore lancia l'allarme per il mondo del non profit e del volontariato

Lo scorso 12 marzo alcuni esponenti del mondo Terzo Settore hanno incontrato la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo che ha offerto rassicurazioni

In un recente comunicato stampa, la portavoce del Forum del Terzo Settore Claudia Fiaschi lancia l'allarme in merito alle condizioni del mondo del non profit e del volontariato, fortemente sotto pressione a causa dall'emergenza legata al diffondersi del Coronavirus SARS-CoV-2.

Secondo Fiaschi "tutto il sistema del welfare nazionale si basa su due pilastri, da una parte il pubblico, dall'altra l’energia sussidiaria del Terzo Settore". Proprio per questo è "indispensabile e urgente mettere in sicurezza e continuità l’opera di milioni di volontari, operatori e organizzazioni del Terzo Settore Italiano". A tale scopo "le misure di sostegno al reddito e gli ammortizzatori sociali", dice Fiaschi, "devono essere estesi anche ai nostri lavoratori a partire da una cassa integrazione flessibile. Devono essere estesi al Terzo Settore anche altri provvedimenti: gli interventi di sostegno alle attività, la sospensione di scadenze fiscali contributive e per i mutui".

La stessa Claudia Fiaschi ha inoltre rilasciato un'intervista a Elisabetta Soglio, caporedattrice di Corriere Buone Notizie; in questa intervista (poi ripresa anche dal portale Vita non profit) Fiaschi ribadisce la necessità di un intervento da parte del Governo per far fronte a questa crisi improvvisa che può avere forti ripercussioni per tutto il sistema. Solo nelle ex zone rosse, infatti, si stima che circa 95mila enti e oltre 300mila lavoratori e un milione di volontari (quasi il 40% di tutto il Terzo Settore italiano) sia già fermo da alcuni giorni.

Ripercussioni che, come messo in luce da Maurizio Ferrera, rischiano di produrre effetti negativi soprattutto per le donne e la loro condizione occupazionale, anche nel mondo della cooperazione: "Ci saranno perdite di posti di lavoro femminili in tutte le cooperative che gravitano intorno alla pubblica amministrazione per offrire servizi sussidiari in appalto", afferma Ferrera in un recente articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano.

A seguito dell'appello di Claudia Fiaschi, lo scorso 12 marzo alcuni esponenti del mondo Terzo Settore hanno incontrato la Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo proprio per fare il punto sugli effetti dell’emergenza Coronavirus. Come si legge da questo comunicato stampa, la Ministra ha rassicurato circa l’estensione delle misure di sostegno al reddito dei lavoratori, come la Cassa integrazione in deroga, indipendentemente dalla forma giuridica dei soggetti, siano essi imprese o associazioni.

https://www.secondowelfare.it/terzo-settore/coronavirus-il-forum-del-terzo-settore-lancia-lallarme-per-il-mondo-del-non-profit-e-del-volontari.html

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:37am by Anna Marini
Title: «Hanno dimenticato il Terzo settore, ma non si riparte senza il sociale»

Stefano Zamagni, economista e presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali: «Il governo ha sbagliato a non coinvolgere il non profit sin dall’inizio. Servono fondi nel prossimo decreto»

Scandisce bene le parole: «In questa crisi il Terzo settore avrebbe potuto e dovuto avere un ruolo di rilievo, invece non è stato minimamente coinvolto. Ed è stato un grave erro-re». Stefano Zamagni, economista e teorico dell’economia civile, primo presidente dell’agenzia del Volontariato e riferimento di tutti questi mondi, dalla sua Bologna analizza la situazione. «Durante l’emergenza fino a qui non si è voluto fare uso del principio di sussidiarietà da tutti acclamato come necessario. Se c’era un’occasione in cui il coinvolgimento degli Enti di Terzo settore era doveroso era proprio questo perché è in questi momenti che i corpi della società civile esprimono la loro massima potenzia di fuoco, come mi piace definirla».

Come, ad esempio?

«Penso, e ne ho già parlato, a realtà come Ant o come Vidas che seguono malati terminali, hanno una grandissima esperien-za e personale altamente qualificato. Ant ha 500 tra medici e infermieri e loro stessi mi hanno detto che se li avessero chiamati si sarebbero messi a disposizione. Penso a tutta la rete di Ail, l’associazione per le leucemie e a tutto il volontariato ospedaliero. Fatte salve le misure di sicurezza, ma quanto sostegno avrebbero potuto dare a medici e infermieri già massacrati da turni e emergenza?» .

Come si spiega questa «emarginazione» di tutto il comparto del Terzo settore?

«La sensazione è che sia stato considerato ruota di scorta perché in fondo continua a es-sere visto e vissuto in posizione subordinata».

Che messaggi raccoglie da enti, cooperative e imprese sociali?

«Anzitutto il rammarico per questa mancata chiamata in causa. E poi c’è una grande preoccupazione per il futuro. Pensi al problema delle donazioni: la stragrande maggioranza di queste realtà si regge sul fundraising, completamente fermo, e sulle donazioni che in questo momento si rivolgono ovviamente agli ospedali e alla Protezione civile. Come faranno con tutti i progetti già avviati e con il lavoro a sostegno di bambini, Neet, anziani, disabili, disoccupati, cooperazione internazionale?» .

Proposte?

«Spiace dire che anche in questo caso il Governo ha perso un’occasione. Nel decreto da 25 miliardi a sostegno di imprese e famiglie e partite Iva, tutte iniziative sacrosante, andava inserito anche il Terzo settore. Mi auguro che si faccia con il prossimo decreto perché questi non sono figli di un Dio minore e il Paese sta correndo un enorme rischio».

Quale?

«Rischiamo di trovarci con un’Italia più povera dal punto di vista sociale e civile. E sarebbe davvero ironia della storia. Invece va affrontato fin da ora il tema di come si riparte: l’Italia è stata chiusa, ed è stato giusto farlo. Ma chiudere è più semplice che riaprire: allora chiediamoci da ora come si può garantire un tessuto sociale e come il Terzo settore può far fruttare in una fase così decisiva le proprie competenze, le reti, l’esperienza accumulata. In questo senso anche chi fa informazione, e quindi il Corriere con Buone Notizie, può avere un ruolo cruciale».

Professore, lei in questi giorni ha contatti con volontari e operatori sociali?

«Di continuo. Molti sono delusi per il mancato coinvolgimento, tutti sono preoccupati per il futuro ma c’è una grande tensione al futuro, una grande energia che mi auguro non vada dispersa».

Ricorda altri momenti di crisi come questo?

«Dal Dopoguerra il nostro Paese non ha mai attraversato una crisi così grave. Questa emergenza ha messo a nudo il fatto che le persone non soffrono solo per le malattie ma anche per la solitudine e l’incertezza. E per questo non si può chiedere l’intervento di ospedali e sanitari, che già stanno facendo miracoli. Per rispondere a questo enorme e diffuso senso di abbandono e di solitudine esistenziale sarà basilare attivare il Terzo settore che già ora si sta dando da fare sfruttando le potenzialità delle tecnologie e l’esperienza delle associazioni. Solo così supereremo insieme questa crisi socio-relazionale e potremo ripartire con un rinnovato tessuto sociale».

https://www.corriere.it/buone-notizie/20_marzo_23/hanno-dimenticato-terzo-settore-ma-non-si-riparte-senza-sociale-7986195a-6d29-11ea-ba71-0c6303b9bf2d.shtml

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:47am by Anna Marini
Title: Intervista di Stefano Zamagni per "Vita non profit"

Per ulteriori approfondimenti l'intervista di Stefano Zamagni per "Vita non profit": https://www.secondowelfare.it/terzo-settore/zamagni-coronavirus-che-errore-aver-dimenticato-il-terzo-settore.html

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:50am by Anna Marini
Title: Coronavirus, Forum “Indispensabili aiuti straordinari per il Terzo settore e un’attenzione particolare al Sud”

La Portavoce Fiaschi: “Siano utilizzati i Fondi Strutturali della Ue”

Roma, 27 marzo 2020 – “Il mondo del terzo settore è rimasto e rimarrà al fianco dei cittadini e delle istituzioni in questa emergenza sanitaria. Stiamo svolgendo un’opera preziosissima: aiuti sanitari, raccolta del sangue, trasporto dei malati, aiuti ad anziani, malati e disabili a domicilio, sostegno alle famiglie e alle persone più fragili, accoglienza per i senza dimora, residenze per minori, centri di accoglienza per stranieri. Ma tutto ciò non può più essere dato per scontato, né per oggi, né per domani. – Così la Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore al termine della riunione del Coordinamento del 25 marzoL’impatto di questa emergenza per tutto il Terzo settore è e sarà pesantissimo. Solo con provvedimenti importanti e mirati, alla fine di questa emergenza potremo contare ancora su questa rete di legami sociali, di prossimità e solidarietà“.

Messa in sicurezza di operatori e volontari, estensione di misure che mitighino l’impatto economico, finanziario e occupazionale dell’emergenza, un Fondo nazionale dedicato al rilancio del Terzo settore italiano e una particolare attenzione al Terzo settore nel Sud del Paese, dove l’economia sociale rappresenta spesso l’economia migliore e con maggior impatto occupazionale.” Così Claudia Fiaschi riepiloga le principali misure necessarie, rilanciando anche l’appello che il presidente della Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo, ha fatto al Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano.

Sappiamo per esperienza che il rafforzamento delle reti sociali è la premessa per un solido e duraturo sviluppo economico. Per questo sarà necessario un impegno rafforzato in quei territori come il Sud del nostro Paese, dove l’impatto dell’emergenza sanitaria avrà effetti ancora più devastanti e nei quali sarà ancora più determinante dare continuità di azione alle organizzazioni del Terzo settore. Nessuna esitazioneconclude Fiaschiad utilizzare in maniera straordinaria anche le risorse ancora disponibili dei Fondi strutturali. L’eccezionalità del momento che stiamo vivendo richiede di mettere in atto ogni forma di coraggio, anche quello amministrativo.”

https://www.forumterzosettore.it/2020/03/27/coronavirus-forum-indispensabili-aiuti-straordinari-per-il-terzo-settore-e-unattenzione-particolare-al-sud/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:52am by Anna Marini
Title: Cooperative e Coronavirus: «Noi che resistiamo»

Aiutare i più fragili tra i fragili: è questa la ragione che da sempre guida il Terzo settore. Ma come fare quando un evento sconvolgente come il coronavirus blocca le attività e fa venire meno introiti e fonti di finanziamento? Nell’emergenza, cooperative e imprese sociali sono state chiamate a dare ancora di più: fantasia e competenza sono il binomio perfetto per attenuare i contraccolpi della crisi.

Dare da mangiare

Riconversione è stata la parola d’ordine scelta dalle cooperative sociali del Consorzio Farsi Prossimo, nato nel 1998 e promosso da Caritas Ambrosiana. «Offriamo aiuto a famiglie e persone che vivono varie forme di disagio, principalmente nel territorio della Diocesi di Milano», racconta il direttore generale Andrea Malgrati. «Nell’emergenza, con l’aiuto del Comune, stiamo adattando e ripensando ad esempio il nostro servizio di consegna a domicilio della spesa Due mani in più — in collaborazione con Coop Lombardia — da sempre importante occasione di monitoraggio attivo dei bisogni». L’idea è quella di raggiungere fasce ancora più deboli: «È in fase di avvio un servizio per over 70enni, adulti con disabilità e per chi, anche temporaneamente, non può provvedervi in autonomia», aggiunge, sottolineando l’importanza di «dotare gli operatori di dispositivi di protezione».

Un tetto sopra la testa

Un’altra fragilità è quella rappresentata dalle oltre 55mila persone che in Italia non possono attuare una delle direttive principali dell’emergenza Covid-19: rimanere a casa. Perché una casa non ce l’hanno. Una risposta è arrivata dal dormitorio cittadino di via del Galgario, nel cuore di Bergamo: «Alla tradizionale accoglienza serale abbiamo affiancato un’attività diurna, aprendo la struttura 24 ore su 24, e grazie a Caritas offriamo ai nostri ospiti i pasti e sosteniamo le spese dell’accoglienza», spiega Omar Piazza, responsabile del «settore Adulti» della cooperativaIl Pugno Aperto(qui il sito) e vicepresidente Confcooperative di Bergamo. Sono stati, poi, individuati un luogo dedicato alle donne e un’infermeria per quanti sono dimessi dall’ospedale. Il rispetto della sicurezza è la prima cosa: «A ogni ingresso rileviamo la temperatura degli utenti, mentre la Croce Rossa ci aiuta a raccontare quanto sta accadendo». Certo, «una convivenza prolungata può generare tensioni, ma sono state tante le sorprese positive: gli ospiti si sono presi cura della struttura, qualcuno ci ha chiesto un tappetino per pregare. E ora che entrano solo gli operatori, una volontaria ci ha cucito delle mascherine».

Da scarto a valore

Il recupero di apparecchiature e ausili medicali è la principale attività svolta da Medicus Mundi Attrezzature, realtà della rete di cooperative CAUTO che opera nella provincia di Brescia. «Da sempre contrastiamo la cultura dello scarto allungando il ciclo di vita di oggetti dismessi e considerati obsoleti nel nord del mondo. È stato quindi naturale rispondere all’emergenza, prestando a titolo gratuito alcune strumentazioni agli ospedali del nostro territorio in estrema difficoltà», racconta il direttore generale Michele Pasinetti. E così, quelli che fino a un mese fa erano quattro «vecchi» ventilatori polmonari sono tornati a essere «una risorsa di grande valore, sperando che quando non serviranno più possano essere utili per altri».

Mascherine e favole

Ma la creatività fa crescere altri «anticorpi cooperativi», (definizione proposta da Legacoop Lombardia): nascono corse gratuite offerte dai tassisti agli anziani in difficoltà; mascherine cucite dai detenuti di Opera (con l’etichetta «cose belle fatte in carcere») e dalla Cooperativa Formula Solidale di Forlì, che ha riconvertito i suoi due laboratori di sartoria, uno interno e uno esterno al carcere; immobili messi a disposizione di chi deve stare in isolamento a tutela della propria e altrui salute dalla Cooperativa La Nuvola di Orzinuovi (Brescia), da Unicapi di Modena (per il personale sanitario) o da DAR=CASA con la destinazione dello stabile di via Carbonia 3, a Milano. In questo oceano di solidarietà non mancano i biglietti teatrali gratuiti offerti dai cooperatori del Teatro Menotti di Milano per infermieri, medici e personale degli ospedali, una volta finita l’emergenza. Anche i più piccoli non sono dimenticati: la cooperativa Teatro del Buratto ha lanciato su Facebook «Abbracci della Buonanotte»: ogni sera un attore legge una storia invitando a inviare un disegno. In attesa di tornare ad abbracciarsi davvero.

https://www.corriere.it/buone-notizie/20_marzo_31/cooperative-coronavirus-noi-che-resistiamo-23ba4564-7369-11ea-bc49-338bb9c7b205.shtml

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 01, 2020 at 5:58am by Anna Marini
Title: Le cooperative sociali innovano il welfare

Un’alternativa al welfare pubblico sono i servizi messi a disposizione dal Terzo settore, che per il suo carattere innovativo e pionieristico e per il maggiore radicamento sul territorio è in grado di ampliare e migliorare l’offerta del welfare state.

Si chiama Social welfare, comunità impresa coesione ed è il nome del progetto ideato da Consorzio solidarietà sociale (Css) di Forlì e Consorzio Solco di Ravenna, a sostegno di nuove iniziative di welfare avviate dalle imprese del territorio romagnolo. Il progetto ha lo scopo di rendere le cooperative sociali protagoniste di un’idea innovativa di welfare aziendale, anche in contesti in cui i lavoratori sono, allo stesso tempo, soci. Le cooperative si ritrovano sempre più spesso ad avere un doppio ruolo di beneficiarie ed erogatrici di servizi.

Social welfare si propone di condividere asset strategici per lavorare sul territorio romagnolo, promuovendo la costruzione di piani di welfare che tengano conto dei reali bisogni dei lavoratori, trovando per essi risposte locali e di qualità, svolgendo così una funzione di natura connettiva tra il luogo di lavoro e altri contesti. Per agevolare la gestione dei piani di welfare propone, inoltre, una piattaforma digitale innovativa e di grande impatto, capace di intercettare le esigenze delle imprese e quelle dei loro lavoratori.

Integrare i servizi del pubblico

In Emilia-Romagna il ruolo del cooperativismo è storico e determinante, sia per lo sviluppo dell’economia locale sia in termini di occupazione e servizi. Si tratta non solo di una concreta alternativa al settore pubblico, ma anche di una possibilità – in questo caso complementare – di ampliarne e migliorarne l’offerta di servizi.

Non solo: il doppio sguardo, di erogatori e beneficiari, rende le cooperative un punto di osservazione e una fucina di sperimentazione molto adatta alle innovazioni che si rendono indispensabili alla luce dei cambiamenti sociali in atto.

Paolo Venturi, Direttore di Aiccon, l’Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit, definisce “rischioso” l’isomorfismo che “alcune cooperative possono avere nei confronti dell’ente pubblico che le finanzia”. Per superare l’impasse dell’orientamento esclusivo dato dai fondi pubblici, dal momento che, dice Venturi, “l’interesse generale non è dato da chi finanzia, ma dalle finalità dell’azione”, la soluzione è che le cooperative diano nuova linfa al rapporto con il territorio.

Secondo il Direttore di Aiccon – autore, insieme con Franca Maino (Percorsi di secondo welfare), del libro curato da Martina Tombari, Pubblico, territoriale, aziendale. Il welfare del Gruppo Cooperativo CGM (ESTE, 2019) – “occorre tornare nelle comunità, partendo da interessi pubblici, ma senza che gli enti finanziatori orientino l’azione in modo esclusivo, ma, anzi, esplorando nuovi mercati, per diversificare maggiormente le attività”.

I bisogni di chi è occupato stanno cambiando e “stanno emergendo paradossi come i working poor”, ricorda Venturi. Non si può non tener conto che il 30% dei lavoratori è caregiver, che ogni anno 36mila donne non rientrano al lavoro dopo la maternità, che il tema della conciliazione dei tempi di lavoro e vita è cruciale per l’aumento dell’occupazione e anche della natalità.

Proporre un’alternativa ai provider

Ecco che, però, secondo Venturi “le cooperative sociali non possono fermarsi a questa analisi proponendo lo stesso prodotto erogato all’interno dei sistemi di affidamento pubblico. Nel welfare aziendale le cooperative devono ricercare una loro biodiversità rispetto ai classici provider”.

Se le piattaforme possono migliorare l’accessibilità e ampliare le possibilità di scelta, non è comunque detto che i beneficiari siano in capaci di compiere tali scelte”: la soluzione di Venturi non è individualizzare le scelte, perché “questo porterebbe inevitabilmente a delle diseguaglianze”.

Piuttosto, per superare la logica on demand delle piattaforme, “la soluzione è porre al centro il legame sociale”. Secondariamente, “le persone devono essere prese in carico in maniera personalizzata”. Solo la personalizzazione consente il passaggio dal mutuo beneficio alla mutua assistenza, “come nel caso dei social point, luoghi in cui il lavoratore può recarsi per costruire un percorso legato ai propri bisogni”.

In terzo luogo, è fondamentale, secondo Venturi, “scegliere bene i fornitori dei servizi”. In questo entra in gioco il legame con il territorio, “perché, per fare la differenza, è indispensabile valorizzare i soggetti fornitori su base comunitaria, generando così ricadute positive in termini di reti di prossimità e occupazione”.

Valorizzare imprese locali, infatti, “non impatta positivamente solo sull’economia del luogo, ma anche sull’efficacia della misura di welfare, perché permette ai beneficiari maggiore facilità di fruizione del servizio prescelto”. L’utilizzo di un provider generalista, infatti, potrebbe limitare le possibilità di scelta da parte dei lavoratori, dal momento che molti dei servizi proposti potrebbero non essere proprio disponibili nel territorio di riferimento.

Da ultimo, “l’impresa sociale ha il vantaggio di avere una relazione storica con la Pubblica amministrazione”: lavorando spesso per e con le istituzioni, infatti, le cooperative sono in grado, meglio di qualunque altro soggetto, di “analizzarne i bisogni e di rispondere con strumenti adeguati svolgendo una funzione di broker”.

Venturi cita il caso del Comune di Tradate in provincia di Varese, “in cui il welfare aziendale viene integrato ai servizi già offerti dal pubblico”: nessun altro provider potrebbe mai competere con questa funzione di intermediazione, propria del Terzo settore e dell’impresa sociale.

Per orientare in questa direzione la Pa, secondo Venturi diventa fondamentale “la formazione di Welfare Community Manager: una nuova generazione di professionisti in grado di progettare servizi sociali innovativi, implementando nuovi servizi territoriali, passando da un welfare pubblico-privato di tipo compensativo, a uno realmente capacitante”.

https://www.tuttowelfare.info/terzosettore/le-cooperative-sociali-innovano-il-welfare

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18





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