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Chez Nous - CoNNGI Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane (9.04)

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When Why
Apr-08-20 Ius soli, ius sanguinis, ius culturae: tutto sulla riforma della cittadinanza
Apr-08-20 IMMIGRATI IN ITALIA. LE SECONDE GENERAZIONI
Apr-08-20 Sapete come si chiama questa cosa?
Apr-08-20 MANIFESTO DELLE NUOVE GENERAZIONI ITALIANE 2019 (15 PUNTI)
Apr-08-20 "Il Nostro Paese"

Nato a Roma in risposta alla cecità politica che fatica a riconoscere e valorizzare la pluralità italiana che oggigiorno si staglia sui volti di giovani dalle differenti origini, ma che condividono un attaccamento all Italia in quanto paese natale o di crescita.
Il CoNNGI, che raccoglie un insieme di associazioni radicate sul territorio e che vanno dal Piemonte alla Sicilia, è l'espressione di un ulteriore passo verso una presa di coscienza, che pone in primo piano il protagonismo dei giovani italiani con background migratorio, i quali rivendicano con determinazione la loro appartenenza all’Italia. Il CoNNGI vuole essere soggetto rappresentativo della pluralità italiana nei diversi tavoli istituzionali ed Inter istituzionali, nazionali ed internazionali.
Tutto questo ha avuto inizio nel 2014 grazie ad una Call del Ministero delle politiche sociali e del Lavoro ed è stato un percorso in cui si è avuta conferma che spesso sono le persone a far davvero la differenza, grazie alla loro sensibilità e dedizione.Il 13 ottobre 2017 è stata presentata a Roma, nella sede di OIM Italia, la nuova Associazione di Promozione Sociale Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane.

CoNNGI inoltre, lavora per promuovere un nuovo approccio alle politiche di inclusione e partecipazione, che risponda più efficacemente ai reali bisogni delle nuove generazioni, per costruire e consolidare percorsi di dialogo, confronto e collaborazione con istituzioni e organizzazioni.

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 08, 2020 at 5:49am by Anna Marini
Title: Ius soli, ius sanguinis, ius culturae: tutto sulla riforma della cittadinanza

di Annalisa Camilli

20 ottobre 2017

Il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, alla festa per i dieci anni del Partito democratico (Pd), il 14 ottobre, ha detto che si sta impegnando per far approvare la legge di riforma della cittadinanza impropriamente chiamata ius soli, che era nel programma elettorale del Pd nel 2013 ed è bloccata al senato da due anni.

A fine legislatura – dopo una mobilitazione di associazioni, studenti, insegnanti e molti politici – la possibilità che il disegno di legge torni in aula sembra più plausibile, anche se il calendario del senato è fittissimo e il tempo a disposizione prima dello scioglimento delle camere è limitato.

Secondo alcuni analisti, la legge potrebbe tornare a palazzo Madama alla fine di novembre o addirittura a gennaio dell’anno prossimo. Intanto il fronte politico per la sua approvazione nelle ultime settimane si è esteso, ma mancano almeno cinque o sei senatori per garantire una maggioranza parlamentare, in grado di portare all’approvazione della norma. Ma qual è la legge in vigore oggi in Italia e come si è arrivati alla riforma?

Il ruolo degli emigrati nella cittadinanza
La legge in vigore in Italia è stata approvata nel 1992 e considera cittadino italiano chiunque abbia almeno un genitore italiano, senza distinzioni tra chi nasce in Italia e chi nasce all’estero. Si fonda quindi principalmente sullo ius sanguinis (diritto di sangue), che fa derivare la cittadinanza da quella dei genitori e degli antenati. I cittadini stranieri residenti in Italia possono diventare italiani per naturalizzazione o per matrimonio.

La docente di sociologia politica Giovanna Zincone nel suo saggio Citizen policy making spiega che “quando l’Italia è stata unificata nel 1861, la sua prima legge sulla cittadinanza ha privilegiato il principio secondo cui l’appartenenza a una società doveva dipendere dall’appartenenza a una nazione, una comunità di persone che hanno gli stessi antenati”. La prima legge sulla cittadinanza del paese appena unificato fu mutuata dal codice napoleonico, come quasi in tutti i paesi europei.

Zincone ricorda che – come tutti i paesi con un alto numero di emigrati – l’Italia ha favorito la trasmissione della cittadinanza “con il sangue”, per mantenere un legame con i tanti emigrati italiani che vivevano e lavoravano all’estero e contribuivano allo sviluppo e all’arricchimento del paese attraverso le rimesse. Invece Roma non è riuscita ad approvare delle misure che estendano la cittadinanza agli stranieri che risiedono sul territorio italiano da molti anni e ai loro figli nati e cresciuti in Italia, anche se è dalla fine degli anni novanta che si parla di ius soli (diritto di cittadinanza legato al luogo di nascita).

C’è un divario tra i diritti politici dei discendenti degli italiani all’estero e quelli degli immigrati che risiedono in Italia

La legge numero 91 del 1992 ha rafforzato il principio dello ius sanguinis ed è nata proprio per favorire gli italiani all’estero, cioè la discendenza degli emigrati italiani, mentre ha introdotto tempi più lunghi per la naturalizzazione dei cittadini di nazionalità straniera. La riforma ha infatti ridotto a tre anni (da cinque) il tempo in cui devono risiedere in Italia i discendenti degli italiani che vogliono ottenere la cittadinanza e gli ha permesso di mantenere il doppio passaporto, mentre i cittadini di paesi non europei devono risiedere qui almeno dieci anni (prima erano cinque).

La legge del 1992, inoltre, ha reso più difficile per i figli dei cittadini stranieri acquisire la cittadinanza italiana, perché ha introdotto l’obbligo di residenza continuativa e legale nel paese fino al compimento del diciottesimo anno di età. Con la riforma del 1992, il matrimonio è diventato uno dei principali canali di accesso alla cittadinanza: per chiederla bastava essere sposati da appena sei mesi con un italiano o un’italiana. Nel 2009 però questa parte della legge è stata cambiata, il governo Berlusconi ha inserito nel Pacchetto sicurezza una norma che ha innalzato il termine a due anni.

Come spiega Giovanna Zincone, la riforma della cittadinanza del 1992 ha rafforzato il ruolo politico degli italiani all’estero. “La lobby degli italiani all’estero ha un ruolo decisivo nella politica nazionale, possono scegliere i loro rappresentanti ed eleggono sei senatori e dodici deputati”, scrive Zincone. Per queste ragioni storiche, si è creato un divario tra i diritti politici riconosciuti ai discendenti degli italiani all’estero e quelli che sono negati agli immigrati che risiedono in Italia da molto tempo.

La lunga storia dello ius soli
La prima proposta di riforma della legge sulla cittadinanza per gli stranieri residenti è stata presentata dalla ministra degli affari sociali Livia Turco nel 1999. In particolare la proposta prevedeva che i figli nati in Italia di cittadini stranieri potessero chiedere la cittadinanza all’età di cinque anni, dopo aver vissuto legalmente e continuativamente nel paese.

I genitori avrebbero dovuto dimostrare di essere residenti in Italia da almeno cinque anni. “L’idea era quella di evitare che i bambini che cominciavano il ciclo scolastico obbligatorio fossero trattati come stranieri e avessero meno diritti rispetto ai bambini nati in Italia da genitori italiani”, ricorda Zincone nel suo saggio Citizen policy making. Il progetto di riforma della cittadinanza del 1999 fallì, ma alcuni tratti della proposta di legge rimasero nelle proposte successive.

Nel 2006, l’allora ministro dell’interno Giuliano Amato propose una nuova riforma della cittadinanza, che fu decisamente ostacolata dai partiti d’opposizione anche se un sondaggio aveva evidenziato che la maggior parte degli italiani era d’accordo con la riforma. “C’è da notare come l’opposizione ebbe più spazio in televisione e sui mezzi d’informazione che nella commissione per gli affari costituzionali che stava esaminando la riforma. Questa è una classica Teoria della scelta pubblica di Buchanan & Tullock: i politici ottengono più nella contrattazione privata che in quella pubblica e quello che avviene nelle commissioni ha meno visibilità dei dibattiti che si svolgono in televisione”, spiega Zincone.

Ognuno è figlio della cultura dei suoi genitori, ma soprattutto del paese in cui ha frequentato la scuola

Nel 2008 la vittoria della coalizione di centrodestra, formata da Forza Italia e dalla Lega nord, e la scelta di spostare le politiche migratorie sul piano dell’ordine pubblico impressero una battuta d’arresto al dibattito sulla riforma. Nel 2009 i deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Popolo della libertà) proposero una riforma bipartisan della cittadinanza, che però si fermò nel 2010 per il timore del Pdl di esporsi su questo tema all’inizio della campagna elettorale per le regionali.

La proposta di Granata e Sarubbi diceva, in sostanza, che un ragazzo nato in Italia da genitori stranieri poteva ottenere la cittadinanza italiana a diciott’anni, se risiedeva in Italia da almeno cinque anni, superando un test di “integrazione civica e linguistica” e in seguito a un giuramento sulla costituzione. Inoltre sarebbero potuti diventare italiani i figli di immigrati residenti in Italia da almeno cinque anni e quelli che avevano completato un ciclo di studi.

Dopo la bocciatura della legge bipartisan, nel 2011, una ventina di associazioni lanciarono la campagna l’Italia sono anche io, una raccolta di firme che portò a presentare in parlamento due leggi di iniziativa popolare. La campagna fu sostenuta dall’allora sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, che era anche presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci). Furono raccolte 200mila firme.

Il testo della legge d’iniziativa popolare fu depositato alla camera il 5 febbraio del 2012. Il 13 ottobre del 2015, dopo una lunga discussione parlamentare, è stata approvata una riforma che ingloba la legge d’iniziativa popolare e altre venti proposte di legge. Tuttavia la norma, che prevede lo ius soli temperato e lo ius culturae, è rimasta bloccata in senato da due anni e rischia di non essere approvata entro la fine della legislatura. “È come essere agli ultimi cento metri e poi ti bloccano, se finisse la legislatura senza approvare questa legge bisognerebbe ricominciare da capo”, spiega Giulia Perin, avvocata dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi).

La novità dello ius culturae
Nella nuova proposta di legge la vera innovazione rispetto alle proposte precedenti è l’introduzione dello ius culturae: il principio che lega la cittadinanza al fatto di aver frequentato le scuole nel paese dove si risiede prima dei 12 anni. “Questi tre concetti lo ius soli, lo ius sanguinis e lo ius culturae devono essere integrati tra loro: la nuova legge stabilisce che è cittadino chi ha genitori italiani, chi è nato in Italia da immigrati che risiedono da molti anni nel paese, ma soprattutto chi ha frequentato la scuola italiana. Questo dà una centralità alla scuola e alla cultura italiana”, spiega Giulia Perin dell’Asgi, che aggiunge: “Basta osservare i bambini: ognuno è figlio della cultura dei suoi genitori, del luogo dove è nato e cresciuto, ma soprattutto del paese in cui ha frequentato la scuola, alla fine la scuola gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della cittadinanza e dell’appartenenza a una società”.

L’avvocata dell’Asgi risponde anche alle critiche di chi teme che l’approvazione della legge porterà troppe persone a beneficiare dei diritti legati alla cittadinanza. Questa paura ha alla base un equivoco di fondo secondo Perin: “L’Europa ci ha obbligato a dare agli immigrati che soggiornano legalmente nel nostro paese tutti i diritti sociali tranne quelli politici, quindi di fatto quello che cambierebbe per queste persone che vivono nel nostro paese da tanti anni come stranieri anche se sono nati qui è il diritto a votare e la libertà di movimento, cioè la possibilità di spostarsi liberamente in tutti i paesi con cui l’Italia ha degli accordi”, conclude Perin. “A chi conviene avere delle persone che non hanno modo di integrarsi al cento per cento e sentirsi parte di questa società? A volte questa domanda se la fanno anche in questura”.

https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/10/20/riforma-cittadinanza-da-sapere

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 08, 2020 at 5:53am by Anna Marini
Title: IMMIGRATI IN ITALIA. LE SECONDE GENERAZIONI

La seconda generazione in senso stretto è quella costituita dai figli di cittadini stranieri nati nel paese di immigrazione. In molti casi si parla di seconda generazione in senso lato, intendendo anche gli stranieri che sono immigrati prima dei 18 anni. Si deve tenere conto che molti di questi ragazzi acquisiscono la cittadinanza italiana ed escono dal collettivo degli stranieri, pur continuando a far parte di quello delle seconde generazioni. I nuovi italiani di seconda generazione non solo sono in aumento, ma rappresentano un contingente con caratteristiche sempre più complesse e articolate, e proprio per questo, di difficile misurazione. Anche se può sembrare che si tratti di concetti semplici, facilmente applicabili anche in campo statistico si deve tenere conto che la rigidità dei sistemi di registrazione delle informazioni non sempre consente di dare informazioni precise rispetto a questi aggregati. L’integrazione di diversi fonti di dati statistici ha però consentito recentemente di fare chiarezza e di fornire nuovi elementi di valutazione quantitativa.

Al 1° gennaio 2018, in Italia, i minori di seconda generazione, stranieri o italiani per acquisizione, sono 1 milione e 316 mila: di questi il 75% è nato in Italia (991 mila, seconda generazione in senso stretto). I minori di seconda generazione costituiscono il 13% della popolazione minorenne; per i più giovani (0-5 anni), tale percentuale arriva al 15%. 7.jpg

A livello territoriale i minori di seconda generazione si concentrano maggiormente nelle regioni del Nord-ovest (poco meno del 40% del totale) e del Nord-est (quasi il 27%); quote inferiori si registrano nel Centro e nel Mezzogiorno (rispettivamente il 20 e il 13%). La maggiore presenza al Nord è evidente anche nel caso dei minori nati in Italia e arriva al 66%; nel Sud e nelle Isole scende all’11,2%.

Il contingente delle seconde generazioni è determinato nel tempo sia da nascite sia da nuovi ingressi. Dal 2000 al 2017 il flusso che ha alimentato la seconda generazione in senso stretto è costituito da quasi un milione e 100 mila bambini stranieri nati in Italia. Considerando invece la seconda generazione in senso lato, dal 2011 al 2017 sono stati iscritti in anagrafe dall’estero 324 mila stranieri minorenni.

Al 1° gennaio 2018, i ragazzi stranieri sotto i 18 anni residenti nel nostro Paese sono poco più di 1 milione, con un’incidenza pari a quasi l’11% sul totale della popolazione in quella classe di età, cresciuta di circa 3 punti percentuali negli ultimi dieci anni. Quasi tre quarti dei ragazzi stranieri residenti (74,7%) sono nati in Italia (circa 778 mila). La quota di nati in Italia supera il 90% nella classe di età 0-5 e si riduce al crescere dell’età, per arrivare al 37,5% nella classe 14-17 anni.

Le differenze tra le collettività sono rilevanti: la quota di nati in Italia supera l’89% per la Cina e si riduce al 55% nel caso del Pakistan. Le proporzioni più elevate di nati nel nostro Paese si riscontrano soprattutto per le collettività con una più lunga storia di immigrazione in Italia e che nel tempo hanno dato luogo a ricongiungimenti familiari o alla costituzione di una famiglia.

L’indagine sull’integrazione delle seconde generazioni condotta nel 2015 ha consentito di approfondire e documentare il senso di appartenenza dei giovani con background migratorio, superando il concetto di cittadinanza “formale”.

Nel complesso emerge che la quota di coloro che si sentono italiani sfiora il 38%; il 33% si sente straniero e poco più del 29% non si sente in grado di rispondere alla domanda. Sono notevoli le differenze di atteggiamento tra le diverse collettività:

i maschi appartenenti alle collettività dell’Asia e dell’America Latina sono quelli che dichiarano più frequentemente di sentirsi stranieri (42,1% dei cinesi, 39,5% degli ecuadoriani, 38,4% dei filippini e 38,9% dei peruviani). Nel caso dei romeni è invece particolarmente elevata la percentuale di coloro che si sentono italiani (45,8%). Oltre alla cittadinanza l’età in cui si è entrati in Italia ha un peso non irrilevante nella percezione della propria appartenenza. Tra i ragazzi arrivati dopo i 10 anni è notevolmente più elevata la quota di coloro che si sentono stranieri (quasi il 53%) mentre per i nati in Italia la percentuale di chi si sente straniero si riduce a meno del 24%. La “sospensione” dell’identità riguarda, comunque per tutte le generazioni migratorie, oltre il 25% dei ragazzi.

L’indagine svolta induce anche a una riflessione sul significato da attribuire al termine “cittadinanza” in una società sempre più cosmopolita in cui spostarsi è diventato molto più semplice.

Ad esempio, riguardo ai progetti futuri si può riscontrare un’elevata quota, sia fra gli stranieri sia fra gli italiani, di ragazzi che vogliono vivere all’estero: rispettivamente il 46,5 e il 42,6%. Per i ragazzi che non sono nati in Italia la modalità prevalente, qualunque sia la generazione migratoria, è voler vivere in “un altro stato estero”. Il mutamento del senso della “cittadinanza” e dell’“appartenenza” non interessa, infatti, solo i figli di immigrati, ma in generale le giovani generazioni.

https://francescomacri.wordpress.com/2019/09/21/immigrati-in-italia-le-seconde-generazioni/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 08, 2020 at 5:55am by Anna Marini
Title: Sapete come si chiama questa cosa?

12 marzo 2020

Una delle cose più incredibili degli sviluppi precipitosi e senza precedenti degli ultimi giorni – da qui lo si è visto con particolare chiarezza – è stata il ripetersi ineluttabile su ogni scala e in ogni luogo dell’umano e incosciente atteggiamento “magari noi la sfanghiamo”, malgrado i segnali sempre più plateali che questo fosse impensabile. Dicevamo appena tre giorni fa:

C’è, vista da qui, anche la sensazione che in misure diverse molte regioni e paesi del mondo restino in modalità “opossum”, convinti che se stanno attenti a chi entra magari la sfangano. Un po’ come ci si sentiva in Lombardia due settimane fa, o come ci si sentiva a Bergamo subito dopo Codogno, o come ci si sentiva in altri posti del Nord pochi giorni fa. I prezzi da pagare per le restrizioni forzate, in termini economici e di vita quotidiana, sono talmente inauditi che in quelle regioni e paesi si sta acquattati a sperare che passi senza dover intervenire: che Dio ce la mandi buona. Si fischietta. Non sono uno scienziato né uno statistico, e solo per questo mi limito a dire: speriamo non dover dire loro “ve l’avevamo detto”.

Questo impulso, che si è fatto pratica politica, sta saltando e sta per saltare ovunque nel mondo, ma sempre troppo tardi. Questo impulso è stato sbagliato ma normale dopo che si è saputo cosa succedeva a Wuhan. È stato sbagliato ma comprensibile dopo che si è saputo cosa succedeva a Codogno. È stato sbagliato e assurdo dopo che si è saputo cosa succedeva in Lombardia. È diventato sbagliato e folle dopo che si è saputo cosa succedeva in Italia.
Mi ha colpito e quasi commosso la scelta del presidente del Salvador ieri sera, di mettere il paese in quarantena in assenza di casi, scelta più unica che rara.

So che verrò criticato, ma mettiamoci nei panni dell’Italia. L’Italia ora vorrebbe averlo fatto prima.

Ma intorno, come spiega un commento sul New York Times di oggi, il mondo ha reagito sparpagliato, diviso, ignorando il ruolo e l’importanza delle organizzazioni internazionali (“una cacofonia invece che un coro”). Ognuno per sé, ognuno pensando che bastassero dei confini disegnati sulla carta a proteggere le proprie persone e le proprie cose, a impedire l’arrivo di un virus. Lo abbiamo preso – parlo dei paesi del mondo – per un esercito, il virus: succubi di questa unica similitudine che ci viene in mente, la guerra. Gli stessi leader politici nel mondo che hanno chiesto chiusure dei confini, si sono però indignati per le chiusure dei confini altrui. Nel momento del pericolo più grande negli ultimi 75 anni, ognuno ha pensato per sé, scelleratamente: timoroso – a differenza del presidente del Salvador – più delle reazioni immediate nel suo paese che dei pericoli in arrivo per tutti. I governi di destra hanno chiesto e ordinato blocchi e cercato colpevoli esterni, i governi non di destra hanno avuto paura dei ricatti di questo tenore e si sono adeguati, senza fare nessuno sforzo verso un intento comune. Un fuggi fuggi e ognun per sé, convinti di saper badare a se stessi.
E sapete come si chiama questa cosa?

sovranismo s. m. Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione.

https://www.wittgenstein.it/2020/03/12/sapete-come-si-chiama-questa-cosa/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 08, 2020 at 6:08am by Anna Marini
Title: MANIFESTO DELLE NUOVE GENERAZIONI ITALIANE 2019 (15 PUNTI)

Ecco i 15 punti del manifesto redatto dai ragazzi e ragazze di CoNNGI:

SCUOLA

1. Promuovere una formazione specifica dei docenti rivolta alla gestione di classi multiculturali

2. Potenziare le azioni di sostegno scolastico, psicologico e di mediazione linguistico-culturale

3. Rafforzare il coinvolgimento delle famiglie

4. Costruire un sistema integrato di orientamento e di transizione scuola-lavoro

LAVORO

5. Riconoscere e valorizzare le competenze non formali e informali

6. Incentivare l’internazionalizzazione del mercato del lavoro

CULTURA, SPORT E PARTECIPAZIONE

7. Valorizzare e favorire la conservazione della cultura del Paese d’origine e rafforzare il legame con la cultura italiana

8. Promuovere lo sport come strumento di integrazione, inclusione e socializzazione

9. Favorire l’associazionismo, la partecipazione attiva, le pari opportunità

CITTADINANZA E RAPPRESENTANZA POLITICA

10. Sostenere iniziative che garantiscano pari diritti civili e politici

COMUNICAZIONE E MEDIA

11. Veicolare una rappresentazione autentica della società

12. Diventare protagonisti di una nuova narrazione

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

13. Favorire il protagonismo dei giovani quali attori della cooperazione

14. Sostenere il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e diffonderne il contenuto

15. Stimolare il dialogo multilivello e forme di partenariato efficace

Per maggiori informazioni: http://conngi.it/il-manifesto/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 08, 2020 at 9:12am by Anna Marini
Title: "Il Nostro Paese"

Ecco la rubrica "Il Nostro Paese", tenuta da ragazze e ragazzi di seconda generazione socialmente attivi.

https://www.youtube.com/watch?v=2g4q0iibRbk&feature=youtu.be

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18





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