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CHEZ NOUS - Francesco Pascale (18.04)

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When Why
Apr-17-20 Il coronavirus potrebbe non essere una buona notizia per il clima
Apr-17-20 Uno studio di Harvard conferma la relazione tra inquinamento e mortalità da Covid-19
Apr-17-20 «Il virus è la malattia del pianeta stressato»
Apr-17-20 MOBILITÀ POST COVID 19: ECCO 5 MISURE CONCRETE
Apr-17-20 Terra Felix, il luogo dove puoi riscoprire i prodotti tipici della Campania
Apr-17-20 RIQUALIFICAZIONE, TUTELA AMBIENTALE E INNOVAZIONE SOCIALE: IL CASO TERRA FELIX
Apr-17-20 L’agricoltura sociale come esperienza di economia civile
Apr-17-20 La rivoluzione copernicana dell’economia civile. L’Italia riparte da qui

Francesco Pascale, attivista ambientalista, fondatore del “Circolo Geofilos”, membro della segreteria regionale di Legambiente e direttore esecutivo della Cooperativa Sociale TerraFelix.

Crea l’Ecomuseo della Campania Felix un centro culturale e ambientale per accrescere la consapevolezza e la promozione dell’ambiente, delle tradizioni, dell’agricoltura, del cibo e del prodotto gastronomico della Regione Campania. Il progetto ripristina anche il palazzo del 1700 denominato Casale di Teverolaccio a Succivo (Ce).

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:40am by Anna Marini
Title: Il coronavirus potrebbe non essere una buona notizia per il clima

All’inizio di marzo, quando su internet hanno cominciato a circolare le immagini satellitari che mostravano l’impressionante riduzione delle emissioni di biossido d’azoto provocata dagli effetti del nuovo coronavirus in Cina, molti hanno pensato che questa terribile crisi avrebbe potuto avere almeno un effetto positivo: fermare (o almeno rallentare notevolmente) il cambiamento climatico.

Le emissioni di gas serra sono direttamente legate alle attività produttive e ai trasporti, ed entrambe le cose sono state fortemente ridotte dalle limitazioni imposte ormai da tutte le principali economie del mondo per fermare la diffusione della pandemia. A febbraio le misure adottate dalla Cina hanno provocato una riduzione del 25 per cento delle emissioni di anidride carbonica rispetto allo stesso periodo del 2019: duecento milioni di tonnellate in meno, l’equivalente delle emissioni prodotte in un anno dall’Egitto. Tra l’altro, secondo una stima questo ha evitato almeno cinquantamila morti per inquinamento atmosferico, cioè più delle vittime del Covid-19 nello stesso periodo.

Il rallentamento dell’economia globale potrebbe avere effetti ancora più consistenti. Secondo le ultime previsioni dell’Ocse, nel peggiore degli scenari presi in esame la pandemia potrebbe ridurre la crescita del pil globale nel 2020 dal 3 per cento all’1,5 per cento. Su The Conversation, Glen Peters del Center for International Climate and Environment Research ha calcolato che questo potrebbe comportare una riduzione delle emissioni di anidride carbonica dell’1,2 per cento rispetto al 2019. Visto che dopo la pubblicazione delle stime dell’Ocse le prospettive economiche sono ulteriormente peggiorate, il calo delle emissioni potrebbe essere ancora più marcato.

Ma se a prima vista questa può sembrare una buona notizia per il clima, le cose appaiono molto diverse se si guarda oltre il breve periodo. Come nota lo stesso Peters, tutte le recenti crisi economiche (gli shock petroliferi degli anni settanta, il crollo del blocco sovietico, la crisi finanziaria asiatica degli anni novanta) sono state accompagnate da riduzioni delle emissioni – anzi, le crisi economiche sono state gli unici momenti nella storia recente dell’umanità in cui la crescita costante delle emissioni si è interrotta.

Ogni volta, però, il calo è stato di breve durata, e la ripresa economica ha portato con sé un aumento delle emissioni. Nel 2009 la crisi finanziaria ha provocato una riduzione del pil globale dello 0,1 per cento e un calo delle emissioni di anidride carbonica dell’1,2 per cento. Anche in quel caso molti parlarono di una possibile svolta nella crisi climatica. Ma nel 2010 le misure di stimolo economico provocarono un aumento del 5,1 per cento nelle emissioni, molto più rapido che negli anni precedenti la crisi.

Il motivo è che l’andamento delle emissioni non dipende solo da quello dell’economia globale, ma anche dalla cosiddetta intensità di emissione, cioè la quantità di gas serra emessa per ogni unità di ricchezza prodotta. Normalmente l’intensità di emissione si riduce con il tempo per effetto del progresso tecnologico, dell’efficienza energetica e della diffusione di fonti di energia meno inquinanti. Ma durante i periodi di crisi questa riduzione può rallentare o interrompersi. I governi hanno meno risorse da investire nei progetti virtuosi e le misure di stimolo tendono a favorire la ripresa delle attività produttive tradizionali. Se come molti temono la Cina dovesse rilanciare la costruzione di centrali a carbone e altre infrastrutture inquinanti nel tentativo di far ripartire l’economia, a medio termine gli effetti negativi potrebbero cancellare qualunque miglioramento dovuto al calo delle emissioni.

Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, ha avvertito che la crisi economica prodotta dalla pandemia potrebbe avere conseguenze disastrose per la transizione energetica globale. Il 70 per cento degli investimenti mondiali in energia pulita dipende dalle finanze pubbliche. Per questo, avverte Birol, è essenziale che le misure di stimolo diano la precedenza all’economia verde. Inoltre i governi potrebbero approfittare del crollo del prezzo del petrolio per ridurre i sussidi pubblici agli idrocarburi senza provocare grosse reazioni, e investire quelle risorse nella sanità.

Il ruolo dell’Europa
Recentemente la Commissione europea ha presentato il suo piano per un green deal europeo e la proposta di legge sul clima che prevede l’impegno ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Questi progetti non dovrebbero essere accantonati con il pretesto della crisi economica, come probabilmente chiederanno alcuni stati membri, ma essere messi al centro della politica di investimenti pubblici straordinari che ormai tutti gli economisti giudicano necessaria.

Inoltre l’Europa avrà la responsabilità di mantenere in piedi i negoziati internazionali sulla riduzione delle emissioni nonostante il caos. La pandemia ha già provocato la cancellazione di alcuni incontri preliminari alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima che dovrebbe svolgersi a Glasgow a novembre, e non è escluso che la conferenza stessa possa essere rinviata. In ogni caso, la lotta al cambiamento climatico scenderà parecchio nella percezione delle priorità globali, e servirà un impegno diplomatico ancora più deciso per evitare un fallimento.

Sotto questo aspetto, però, la pandemia potrebbe davvero offrire un’opportunità imprevista. Fino a poche settimane fa era opinione diffusa che solo un rallentamento dell’economia statunitense avrebbe potuto impedire la rielezione di Donald Trump alle presidenziali di novembre. Ora quel rallentamento è praticamente certo. Se questo dovesse contribuire a portare alla Casa Bianca un presidente deciso ad annullare l’uscita dagli accordi di Parigi e a riprendere il ruolo di primo piano avuto da Barack Obama nei negoziati internazionali, la crisi del nuovo coronavirus potrebbe avere almeno un effetto duraturo sull’emergenza climatica.

https://www.internazionale.it/opinione/gabriele-crescente/2020/03/19/coronavirus-clima

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:45am by Anna Marini
Title: Uno studio di Harvard conferma la relazione tra inquinamento e mortalità da Covid-19

Ci sarebbe una forte correlazione tra la mortalità da coronavirus e l'inquinamento da polveri sottili, secondo uno studio dell'Università di Harvard citato anche dall'Istituto superiore di sanità.

Ci sarebbe una correlazione tra l’inquinamento da polveri sottili e la mortalità da coronavirus. All’aumento di appena un microgrammo per metro cubo di pm2,5, cioè le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 micrometri (μm), corrisponderebbe un aumento del 15 per cento del tasso di mortalità del virus Sars-Cov-2. A rilevarlo è uno studio dell’Università di Harvard a cui ha partecipato anche la ricercatrice italiana Francesca Dominici, secondo cui “i risultati ottenuti sono statisticamente significativi e robusti, con un intervallo confidenziale – vale a dire, il margine di veridicità – del 95 per cento”, e che anche l’Istituto superiore di sanità e il Consiglio superiore di sanità hanno definito “molto robusto”.

L’aria pulita può aiutarci a scofiggere la Covid-19

Ci stiamo abituando, in queste settimane, a vedere foto di panorami idilliaci e cieli tersi, svuotati dagli esseri umani e soprattutto dall’inquinamento a causa dello stop quasi totale delle attività produttive: ebbene, la diminuzione delle polveri sottili nell’aria potrebbe essere non solo una conseguenza positiva del coronavirus, ma anche e soprattutto ciò che potrebbe salvarci la vita.

Gli studiosi di Harvard, prestigiosissima università del Massachusetts, negli Stati Uniti, hanno deciso di approfondire la correlazione tra i principali focolai di coronavirus presenti negli Stati Uniti, dove la stima delle vittime complessive potrebbe raggiungere anche le 240mila persone, scoprendo che le zone a più alta mortalità sono le stesse in cui l’inquinamento atmosferico è maggiore.

E se il rischio in media aumenta del 15 per cento, in alcune zone si arriva anche al 20 per cento. Ecco perché, si legge proprio nelle conclusioni della ricerca, “è importante aumentare gli sforzi per fermare l’inquinamento da polveri sottili, per proteggere la salute del genere umano durante, ma anche dopo la crisi della Covid-19”.

Cosa lega Wuhan, Milano e New York

Nelle scorse settimane sono state avanzate ipotesi sulla possibile correlazione tra inquinamento e pandemia da coronavirus, anche a partire dai casi di Wuhan (l’Hubei è una delle regioni più industrializzate della Cina) e della Lombardia (nota è l’immagine che sovrappone la concentrazione di fabbriche nella pianura Padana con il principale focolaio italiano).

La metodologia dello studio di Harvard

Lo studio di Harvard è il primo a mettere nero su bianco la questione in modo scientifico: i ricercatori hanno infatti raccolti i dati sui decessi da Covid-19 e l’esposizione media a lungo termine di polveri ultrasottili di circa tremila contee degli Stati Uniti, pari a il 98 per cento della popolazione fino al 4 aprile e prendendo in considerazioni anche variabili importanti come la disponibilità di posti letto di terapia intensiva in rapporto al numero di abitanti, il numero di tamponi effettuati, le variabili socio-economiche e i comportamentali come l’alimentazione, la dipendenza da fumo, il peso corporeo, fino alle condizioni meteorologiche del territorio.

Uno studio così preciso che anche in Italia è stato preso subito in grande considerazione: il 10 aprile,giorno della pubblicazione, nel corso della conferenza stampa settimanale all’Istituto superiore di Sanità il presidente Silvio Brusaferro lo ha definito “uno studio assolutamente solido, che sollecita una riflessione importante. I ricercatori dell’Iss lavoreranno su questo scenario, che va tenuto in considerazione nella fase 2”. Brusaferro ha ricordato anche che “la riduzione delle polveri sottili è una cosa a cui l’Italia lavorava già, perché fa parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030”.

L‘Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è il programma d’azione suddiviso in 17 obiettivi riguardanti le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite. L’undicesimo obiettivo dell’Agenda, quello intitolato Città e comunità sostenibili, tra i vari target prevede infatti di ridurre entro il 2030 l’impatto ambientale negativo pro capite delle città, in particolare riguardo alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti: nonostante un lento miglioramento, nel 2019 ben 55 capoluoghi di provincia italiani avevano superato il limite consentito di polveri sottili nell’aria, e secondo Legambiente solamente nel mese di gennaio 2020 erano già cinque le città ‘fuorilegge’, di cui quattro (Milano, Padova, Torino e Treviso) nelle tre regioni oggi più colpite dal virus. Per Harvard non è un caso.

https://www.lifegate.it/persone/news/harvard-coronavirus-inquinamento

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:46am by Anna Marini
Title: «Il virus è la malattia del pianeta stressato»

Per il professor Gianni Tamino, che indaga il rapporto tra ambiente e salute, l’alterazione dell’ecosistema favorisce le epidemie.

Intorno alla pandemia causata dal nuovo coronavirus si sta sviluppando un intenso dibattito sugli aspetti sanitari. Anche nel campo delle scienze sociali, per l’impatto che il virus sta avendo sulle nostre abitudini e stili di vita, si stanno producendo riflessioni ed analisi.

Si è sviluppato solo parzialmente, invece, il dibattito sul rapporto che intercorre tra la condizione ambientale e l’insorgenza di una epidemia. Per contribuire a colmare questo vuoto ci siamo messi in contatto con il professor Gianni Tamino (docente di Biologia generale all’Università di Padova, dove attualmente svolge attività di ricerca nel campo dei rischi legati alle applicazioni biomolecolari), impegnato da molti anni a indagare il rapporto tra ambiente e salute.

Quale relazione esiste tra questa pandemia e le profonde trasformazioni che il pianeta sta subendo? Lei ha più volte fatto riferimento alla capacità di carico e al deficit ecologico che sta caratterizzando il pianeta.

Sulla base della capacità di carico si può misurare la capacità rigenerativa del pianeta. Nel caso della popolazione umana si parla di «impronta ecologica». L’Overshoot Day indica il giorno in cui il consumo delle risorse supera la produzione che la Terra mette a disposizione per quell’anno. Per il 2019, il giorno è stato il 29 luglio. Significa che in sette mesi abbiamo esaurito tutte le risorse che il pianeta rigenera in un anno. Bisogna risalire agli anni ’80 per trovare un equilibrio tra risorse consumate e risorse rigenerate dalla Terra. Si è determinato un deficit ecologico che comporta esaurimento delle risorse biologiche e, nello stesso tempo, produzione di rifiuti, effetto serra, alterazione della biodiversità, con squilibri che sono alla base dell’insorgenza di molte malattie. Quanto più si superano i limiti della disponibilità del territorio e si altera l’ambiente, tanto maggiore sarà la frequenza con cui si manifestano carestie, guerre, epidemie. Il rapporto del 1972 su I limiti dello sviluppo anticipava molte delle questioni attuali.

Le risorse naturali vengono consumate a un ritmo sempre più accelerato e cresce la produzione agricola, ma non si riescono a soddisfare le esigenze alimentari della popolazione. Il cibo prodotto sarebbe sufficiente per tutti, ma malattie e malnutrizione sono presenti in diverse aree del pianeta.

La Fao calcola che la produzione attuale di cibo sarebbe in grado di sfamare fino a nove miliardi di persone, ben al di sopra dell’attuale popolazione. Sta di fatto che un miliardo di persone soffre la fame a causa di forme di produzione non sostenibili e una iniqua distribuzione. La riduzione delle terre coltivabili, la perdita di fertilità dei suoli, l’estensione delle monocolture, l’inquinamento ambientale, sono alcuni dei fattori che incidono sulla disponibilità di cibo. Il 70% della superficie agricola è destinata alla produzione di mangimi per animali. La biomassa del miliardo e mezzo di bovini che viene allevato è molto di più della biomassa umana. Inoltre, lo spreco alimentare, pari al 30% di tutta la produzione che si verifica nel corso di tutto il processo produttivo e distributivo, aggrava la situazione.

I cambiamenti climatici e l’alterazione degli habitat creano le condizioni favorevoli all’insorgenza di malattie cronico degenerative e di epidemie. Quale è il legame tra un ambiente degradato e la diffusione di una epidemia?

Le enormi quantità di energia di origine fossile che abbiamo impiegato a partire dalla Rivoluzione Industriale hanno prodotto una situazione che rischia di diventare irreversibile. I cambiamenti climatici e l’inquinamento del pianeta rappresentano una seria minaccia per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. L’inquinamento ambientale sta producendo gravi conseguenze sulla salute umana ed è responsabile della morte prematura di almeno 10 milioni di persone ogni anno nel mondo. L’incremento di malattie cronico degenerative sta determinando un indebolimento di ampie fasce della popolazione, che risulta meno idonea a difendersi dalle malattie infettive e dalle nuove epidemie.

Il contatto sempre più ravvicinato con gli animali selvatici e i loro patogeni rendono più facile il salto di specie, ma anche gli allevamenti intensivi rappresentano una condizione potenzialmente pericolosa per la diffusione di epidemie.

Il salto di specie di un virus da un animale all’uomo è sempre un evento preoccupante, sia che si tratti del pipistrello (per il nuovo coronavirus) o dei polli e suini (per l’influenza aviaria e suina), perché la popolazione è priva di difese immunitarie specifiche e il virus non trova ostacoli. Per questo è necessario contenere la diffusione riducendo i contatti tra le persone. In questi mesi stiamo affrontando una pandemia virale, ma il futuro potrebbe riservarci pandemie causati da batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico. Negli allevamenti intensivi, a causa dell’elevata concentrazione di animali e del massiccio impiego di antibiotici, si creano le condizioni favorevoli allo sviluppo di ceppi batterici resistenti. Se una salmonella o un ceppo di Escherichia coli sviluppassero resistenza agli antibiotici, si determinerebbe una situazione drammatica perché non saremmo in grado di controllare il contagio.

Un rapporto dell’OCSE del 2018 afferma che nei prossimi 10 anni avremo più di 600 milioni di persone residenti in aree segnate da conflitti, in condizioni di povertà ed esposte a epidemie.

Si tratta dell’80% della popolazione più povera del mondo che si trova all’interno di stati fragili e che vive una condizione di emergenza a causa dei cambiamenti climatici. Le popolazioni fragili e indebolite di questi paesi sono «terreno fertile» per la diffusione di epidemie. La precaria condizione sanitaria non consente di affrontare le epidemie che dovessero insorgere e che le inevitabili migrazioni trasformerebbero in pandemie.

Recentemente ha affermato che questa pandemia può essere un «utile avvertimento» per evitarne di nuove e più gravi.

Il Covid-19 è una reazione allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta. Questa pandemia non ha una letalità elevata, anche se è alta la contagiosità. Nella Pianura Padana, soprattutto in Lombardia, sta colpendo una popolazione anziana e indebolita da patologie pregresse. E l’inquinamento dell’ambiente svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza di queste patologie. Riusciamo a tenere in vita più a lungo le persone, ma non siamo in grado di garantire una vita sana. A fronte di una età media più elevata, la nostra «aspettativa di vita sana» si è ridotta. Per arginare le future epidemie dobbiamo modificare il nostro rapporto con l’ambiente, ma anche potenziare le strutture sanitarie pubbliche che vengono smantellate in tutti i paesi.

https://ilmanifesto.it/il-virus-e-la-malattia-del-pianeta-stressato/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:48am by Anna Marini
Title: MOBILITÀ POST COVID 19: ECCO 5 MISURE CONCRETE

Legambiente scrive ai sindaci delle città italiane: “La ripartenza ha bisogno di soluzioni green innovative e coraggiose per la mobilità, non restituiteci le vecchie città.”

“Per superare l’emergenza coronavirus e per far ripartire le città italiane servono risposte e soluzioni eccezionali. Per questo, cari Sindaci, non vi limitate all’ordinario, non restituiteci le vecchie città. Il vostro mestiere richiede visione di futuro, soluzioni inedite, capacità di guidare la comunità verso frontiere nuove. E oggi che tutti abbiamo sperimentato una condizione eccezionale, non c’è momento migliore per osare lo straordinario. Insieme ce la possiamo fare”.

Con queste parole Legambiente scrive una lettera ai sindaci delle città italiane e al presidente dell’Anci Antonio Decaro indicando ai primi cittadini un pacchetto di 5 misure sostenibili e concrete per ripensare la mobilità in città post COVID-19, evitando che l’auto, le moto e gli scooter, siano per i cittadini la soluzione più sicura per proteggersi dal virus e per spostarsi dentro e fuori l’area urbana. Un pacchetto quello proposto dall’associazione ambientalista che prevede: mezzi pubblici più sicuri attraverso monitoraggi, controlli e tornelli per contingentare gli ingressi e garantire le distanze di sicurezza, e prevedendo più risorse per realizzare tutto ciò. Più bici e nuove ciclabili nelle aree urbane replicando, ad esempio, il modello vincente della Bicipolitana di Pesaro e le esperienze che arrivano da diverse città del mondo. È poi prevedendo, tra le altre misure, il rafforzamento della sharing mobility – auto soprattutto elettriche, bici, e-bike, scooter elettrici e monopattini – attraverso accordi con le imprese per avere più mezzi in città e in più quartieri a costi molto più contenuti; invitando i cittadini a rottamare l’auto e scegliendo la mobilità sostenibile e i bonus green. Ed infine incentivando sempre di più lo smart working, avviando un dialogo con il Governo per prevedere dei vantaggi fiscali per le aziende e i lavoratori che decidono di puntare su lavoro agile e sul mobility management di comunità.

Si tratta di misure attuabili in pochi mesi, con risorse relativamente contenute e alcune già disponibili, perché si tratta di attuare provvedimenti già contenuti in Leggi dello Stato. Ad esempio per quanto riguarda la realizzazione di nuove ciclabili, Legambiente ricorda che nella Legge di Bilancio 2020 sono stati stanziati 150 milioni di euro per il co-finanziamento di percorsi ciclabili urbani. L’importante, dunque, sarà avere idee chiare per affrontare con progetti semplici e praticabili la fase in cui le città si rimetteranno in moto, perché il dopo non sia più come il prima.

“Le nostre città – Presidente nazionale di Legambiente da marzo 2018. Ingegnere ambientale, ha iniziato la sua storia in Legambiente nel 1998 grazie al servizio civile. Dal 2006 al 2011 è stato il responsabile scientifico dell'associazione, vicepresidente dal 2011 al 2015, direttore generale dal 2015 al 2018. È membro del Comitato scientifico di Ecomondo, la fiera di Rimini sullo sviluppo sostenibile, e dell’Osservatorio per l’analisi normativa dell’Arma dei Carabinieri. Ha fatto parte del Gruppo di lavoro Mafie e Ambiente degli Stati generali della lotta alla criminalità organizzata, Ministero della Giustizia, nel 2017. È stato consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti della XIV legislatura e membro del Comitato di indirizzo sulla gestione dei Raee presso il Ministero dell’ambiente. È stato membro del Comitato direttivo di Chimica Verde Bionet e del Comitato di indirizzo di RemTech, la fiera di Ferrara sulla bonifica dei siti contaminati. Autore di numerose pubblicazioni di Legambiente." style="box-sizing: border-box; dotted;">Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – possono essere un fantastico banco di prova per dimostrare che si può cambiare il mondo in meglio, sperimentando le vie green verso nuovi modelli di sviluppo. Occorre intervenire subito su quelle misure che hanno una valenza sanitaria e ambientale e che possono dare delle risposte alle regole imposte dal Covid19. Con queste 5 misure che proponiamo oggi ai sindaci, milioni di lavoratori, studenti e famiglie potranno muoversi da subito in maggiore sicurezza e libertà contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra. Per far ciò è indispensabile un impegno da parte di tutti, cittadini, sindaci, società di trasporto e governo, consapevoli che il Paese oltre ad un decreto Cura Italia, ha bisogno anche di provvedimenti che mettano al centro le città e i comuni perché è da qui che bisogna prima di tutto ripartire”.

Ecco 5 misure concrete per ripensare la mobilità post COVID 19:

1 – Sicuri sui mezzi pubblici

Molte persone avranno paura a prendere bus e treni, tram e metro per timore del contagio. Per questo man mano che le città ricominceranno a muoversi, si dovranno programmare con attenzione le corse, garantire le distanze di sicurezza, bisognerà ripensare anche gli orari della città per evitare congestione e traffico nelle ore di punta. Sarà fondamentale un continuo e attento monitoraggio, sia dei mezzi che delle stazioni, dove si dovranno introdurre controlli e tornelli per contingentare gli ingressi oltre a garantire una quotidiana sanificazione. In Spagna il governo ha stabilito l’obbligo di mascherine sui mezzi pubblici e ha garantito la distribuzione di oltre 10 milioni da distribuire nelle stazioni principali. Per fare tutto questo ci vogliono risorse. In parte il governo ha risposto, ma è evidente che non basta perché le aziende pubbliche hanno bisogno di investimenti e già soffrono per la riduzione di introiti da biglietti dovuta a questi mesi di stop.

2 – Più persone in bici e percorsi ciclabili nuovi

La bici è il mezzo che permette il migliore distanziamento: per cui è ora il momento di realizzare percorsi ciclabili temporanei (con segnaletica orizzontale e verticale) lungo gli assi prioritari e le tratte più frequentate, riservando lo spazio per poi dotarli di protezioni e passaggi esclusivi mirando a trasformarli nei mesi successivi in vere ciclabili. È la soluzione che stanno praticando già diverse città del mondo: da Montpellier con una striscia di vernice e cordoli di protezione con conetti provvisori, a Berlino allargando le piste ciclabili con nuove strisce laterali. Stesse misure decise a Bogotà, a Vancouver, New York, Boston e Parigi. In Nuova Zelanda il Governo ha deciso di finanziare queste misure da parte dei Comuni. Questi interventi sono a costo quasi zero e le risorse per realizzare vere ciclabili ci sono: nella Legge di Bilancio 2020 sono stati stanziati 150 milioni di Euro per il co-finanziamento di percorsi ciclabili urbani. Cosa aspetta il Ministero delle Infrastrutture a emanare il Decreto che fissa i criteri per l’erogazione dei fondi? Intanto però i Comuni si possono preparare, in modo da avere progetti seri da candidare e un piano da cui “si evinca la volontà di procedere allo sviluppo strategico della rete ciclabile urbana”, come sottolinea la Legge, in modo che nel 2021 possano partire i cantieri. E che si tratti di reti ciclabili fatte bene, magari copiando il format della Bicipolitana di Pesaro e replicandolo ovunque.

3 – Rafforzare la sharing mobility

Le più efficienti alternative all’auto privata in città, per chi non vorrà prendere i mezzi pubblici, dovranno diventare tutti i mezzi in sharing: auto (meglio elettriche), bici, e-bike, scooter elettrici e monopattini. I Comuni dovranno stringere accordi con le imprese per avere più mezzi e in più quartieri, a costi molto più contenuti. Serviranno risorse, ma il servizio potrà avere grande successo e in parte ripagarsi. In ogni caso saranno soldi ben spesi quelli per potenziare il servizio (con controllo, sanificazione e ridistribuzione dei mezzi nelle diverse ore e luoghi della città) perché avremo offerto mobilità sostenibile a buon mercato a milioni di cittadini.

4 – Aiutare i cittadini a rottamare l’auto e scegliere la mobilità sostenibile

Qui i Sindaci devono farsi sentire, perché le risorse ci sono! Cosa aspetta il Ministero dell’Ambiente a mettere a disposizione i fondi per “Programma Buoni di mobilità” previsti dal decreto Clima approvato a dicembre scorso? Sono previsti 75 milioni per il 2020 e 180 milioni di euro per le annualità successive. Si tratta di 1.500 euro alle famiglie che rottamano una vecchia auto che non può più circolare (Euro3 o più inquinante) oppure 500 euro per un vecchio ciclomotore, per acquistare abbonamenti, e-bike e sharing mobility. Si potrebbe così subito dimezzare la spesa media per i trasporti per 250 mila famiglie italiane (3.500 euro all’anno secondo l’Istat).

5 – Più smart working

Ai Sindaci Legambiente chiede di spingere sul lavoro agile per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica e aiutare tutte le attività che scelgono di andare in questa direzione. Serviranno risorse, ma soprattutto idee nuove e andrà coinvolto il Governo, ma esistono tutte le possibilità per premiare con vantaggi fiscali sia le aziende che i lavoratori che decideranno di puntare su soluzioni innovative di smart working e mobility management di comunità. Ad esempio i vantaggi fiscali di cui oggi beneficiano le auto aziendali possono essere estesi anche a mezzi e investimenti organizzativi per il lavoro a distanza, ai mezzi pubblici, alla condivisione e alla mobilità elettrica o muscolare in tutte le sue forme.

https://www.legambiente.it/mobilita-post-covid-19-ecco-5-misure-concrete/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:51am by Anna Marini
Title: Terra Felix, il luogo dove puoi riscoprire i prodotti tipici della Campania

Nel cuore di quella che i media hanno definito la Terra dei fuochi, una cooperativa sociale ha riqualificato un vecchio casale abbandonato trasformandolo in una sorta di santuario enogastronomico dove assaporare prodotti a chilometro zero, coltivati in maniera naturale. Un ammirevole esempio di valorizzazione del territorio.

Gli antichi romani ribattezzarono l'area compresa tra il fiume Volturno e la città di Napoli "Campania Felix" per la straordinaria fertilità dei terreni. Oggi nell'immaginario collettivo quella area non è più la stessa: è la Terra dei fuochi, la terra delle discariche abusive, la terra dove la criminalità organizzata ha messo le mani, seppellendo e bruciando tonnellate di rifiuti tossici e disinteressandosi completamente dell'ambiente e della salute degli abitanti.

"Il fenomeno della Terra dei fuochi è stato devastante per la Campania. Mediaticamente era una regione distrutta. Io però sono convinto che una narrazione diversa è possibile. Gli esempi positivi ci sono, solo che rischiano di essere oscurati dal problema, che ovviamente esiste. Ma a furia di parlare male si rischia di non combinare niente. La mia idea è che prima ti mostro un'eccellenza del territorio, poi ti mostro anche i roghi e tutti i danni che ha fatto la camorra. L'antica Campania Felix è ancora una delle aree più fertili."

A parlare è Francesco Pascale, 40 anni, campano doc. Lui è uno dei soci fondatori di "Terra Felix", non un semplice progetto di valorizzazione dei prodotti enogastronimici del territorio, ma anche un progetto di inclusione sociale. Siamo a Succivo, in provincia di Caserta. Qui un vecchio casale abbandonato del diciottesimo secolo, il Casale del Teverolaccio, si è trasformato in un'azienda agricola che, oltre a promuovere un modello di agricoltura del tutto naturale ("non usiamo un grammo di pesticidi o di altre sotanze chimiche", tiene a precisare Francesco), punta a coinvolgere la comunità locale con una serie di iniziative. Un vero e proprio fiore all'occhiello della zona. Tant'è che l'attività gode dell'appoggio del Comune di Succivo e di associazioni come Legambiente e Libera.

"Terra Felix nasce da un spin off di un progetto del circolo Legambiente di Succivo. Poi siamo partiti nel 2009, in piena emergenza Terra dei fuochi, con la valorizzazione del Casale di Teverolaccio. Attualmente nella nostra cooperativa sociale siamo 7 dipendenti, più 4 tra collaboratori e stagisti. La volontà era quella di dare una proposta di sviluppo diversa del nostro territorio. Intorno al casale, infatti, stavano per costruire 1200 appartamenti nell'ambito di un piano casa a dir poco scellerato. Avevamo visto i primi segni di questa speculazione edilizia con l'abbattimento di filari di vite maritata al pioppo, un metodo di coltura praticato già dagli etruschi. Andava fermato assolutamente; così abbiamo chiesto e ottenuto dalla sovrintendenza l'imposizione di un vincolo di tutela del paesaggio e di inedificabilità. Dopo di che abbiamo deciso di dare nuova vita al casale con l'Ecomuseo."

In questo museo non troverai quadri né reperti archeologici. In esposizione ci sono i frutti della terra e i valori ambientali e culturali del territorio. Al suo interno c'è la Tipicheria, un orto-ristorante in cui puoi assaggiare direttamente i prodotti tipici del luogo – dal pomodorino del piennolo del Vesuvio al zucchino San Pasquale, la zucca lunga napoletana per citarne solo alcuni – e sperimentare le ricette della tradizione culinaria campana preparate con materie prime di primo livello, tra cui le spezie mediterranee coltivate nel "Giardino dei sensi" all'interno di Terra Felix.

"Qui i nostri ospiti sono educati a mangiare campano. Non troveranno mai a tavola il pomodoro a dicembre o i friarelli ad agosto, perché seguiamo rigorosamente la stagionalità dei prodotti. L'esperienza include una visita ai nostri orti così è possibile vedere con i propri occhi quali ortaggi la terra offre in quel momento. I nostri semi appartengono alla tradizione agricola del luogo e sono certificati. E infatti siamo iscritti nell'elenco dei Coltivatori custodi della Regione Campania".

Le iniziative non finiscono certo qui. C'è anche un Mulab, un museo laboratorio che ospita migliaia di studenti all'anno, offrendo loro diversi percorsi didattici all'interno dell'azienda agricola. Francesco e i suoi soci hanno poi lanciato recentemente il Teverolaccio Rural Hub, un progetto per promuovere l'innovazione in agricoltura e formare i giovani contadini. E poi, grazie alla collaborazione con l'Arci locale, Terra Felix accoglie anche richiedenti asilo, in un percorso di integrazione. Si insegnano i valori della sostenibilità e della solidarietà, ad avere cura della terra e a comprendere le sue esigenze.

Un'oasi felice insomma, in cui i prodotti gastronomici riflettono l'effettivo lavoro delle persone e il loro genuino amore per questa terra. Un bello schiaffo per chi invece ha voluto avvelenare quella magnifica terra che è la Campania.

https://www.ohga.it/terra-felix-il-luogo-dove-puoi-riscoprire-i-prodotti-tipici-della-campania/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:54am by Anna Marini
Title: RIQUALIFICAZIONE, TUTELA AMBIENTALE E INNOVAZIONE SOCIALE: IL CASO TERRA FELIX

Nel comune di Succivo, in provincia di Caserta, un territorio caratterizzato da un forte degrado e dalla speculazione edilizia, un gruppo di volontari, si sono uniti per difendere uno dei simboli del territorio: il Casale di Teverolaccio

Il suolo è una delle risorse maggiormente consumate dall’attività umana: le abitazioni, le strade, le ferrovie, i porti, le industrie occupano porzioni importanti di territorio trasformandole in modo pressoché irreversibile. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra “ sul consumo di suolo 2015” si stima che quasi il 20% della fascia costiera italiana - oltre 500 Km quadrati - l’equivalente dell’intera costa sarda, è perso ormai irrimediabilmente. Spazzati via anche 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. Il cemento ha inoltre invaso persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide). Le strade, infine, rimangono una delle principali causa di degrado del suolo, rappresentando nel 2013 circa il 40% del totale del territorio consumato.

Una delle soluzioni per risolvere questo problema è quello del recupero dell’edilizia esistente. Il progetto Terra Felix è un esempio in questo senso.
Nel comune di Succivo, in provincia di Caserta, un territorio caratterizzato da un forte degrado e dalla speculazione edilizia, un gruppo di volontari di varie associazioni locali con capofila Legambiente, in collaborazione con l’amministrazione comunale, si sono uniti per difendere uno dei simboli del territorio: il Casale di Teverolaccio.

Abbandonato a se stesso, tra l’incuria e i rifiuti, e a rischio cementificazione, il casale ha visto nel corso degli anni la realizzazione di tre interventi di riqualificazione: valorizzazione del giardino, realizzazione di una tipicheria nella ex-stalla e rifunzionalizzazione dei locali sottotetto a museo e laboratori didattici.

Tante sono le attività che qui vengono svolte: quello che una volta era “il Giardino del Principe” una parte ora accoglie l'Ortaccio, 6mila metri quadri destinati a 18 orti sociali coltivati, si legge nel sito del progetto,” da anziani pensionati di Succivo che, attraverso pratiche di agricoltura biologica, producono specialità tipiche locali. Gli stessi anziani collaborano alla realizzazione di laboratori didattici per le scuole elementari e medie al fine di tramandare alle nuove generazioni le pratiche agricole tradizionali”.

L’altra parte, invece, è destinata al “Giardino dei sensi”, un percorso nel verde dove scoprire i suoni, gli odori e i sapori che caratterizzano un giardino.
L’ex stalla del casale è stata invece trasformata in “tipicheria”, un “eco ristorante” dove poter gustare le tipicità campane, i prodotti Dop e Doc a Km 0 di questa regione in un ambiente caratterizzato da arcate in tufo, soffitti di legno e mangiatoie in pietra originali del 1600. Un modo di fare cultura attraverso i prodotti del territorio.

Infine tutte le ricchezze e le tipicità di questo territorio e la storia dei suoi abitanti sono stati racchiusi nell’Ecomuseo Terra Felix. Si distingue da un museo tradizionale, si legge sul sito del progetto, “perché non privilegia collezioni storiche particolari, ma mette al centro i valori ambientali e culturali di un dato patrimonio ed è sempre in contatto con le comunità locali”.

Ma il progetto non si esaurisce qui: nel piano superiore del Casale sorge la sala museale, che ospita mostre d'interesse culturale e artistico ma anche laboratori didattici per i bambini.

“Punto di forza di questo progetto è aver creato una rete, ci spiega Antonio Pascale, presidente dell’Ecomuseo Terra Felix. “Essere rete vuol dire allearsi con i soggetti dell’impresa, dell’economia, delle amministrazioni pubbliche e dell’associazionismo e volontariato”. Una rete che ha dato la possibilità a tutti, giovani e anziani, di vivere quotidianamente questo piccolo gioiello campano tutelandolo e insegnando a tutelarlo.

Un progetto che non parla solo di riqualificazione ma anche di sviluppo economico. Un buon esempio, quindi, di condivisione e innovazione. Intercettato da Earth Day Italia che, in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, ha voluto realizzare una rassegna quei casi di comunità rurali che, pur basando la propria economia sull’agricoltura e la produzione agroalimentare, hanno saputo “inventare” nuovi modelli di sviluppo per il territorio. Da questa selezione sono nate 15 storie racchiuse in cinque reportage che sono stati presentati all’Expo il 5 giugno in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente.

http://www.earthday.it/Alimentazione-sostenibile/Storie/Riqualificazione-tutela-ambientale-e-innovazione-sociale-il-caso-Terra-Felix

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 7:57am by Anna Marini
Title: L’agricoltura sociale come esperienza di economia civile

L’agricoltura sociale rappresenta una possibile forma di economia civile, in cui i meccanismi del mercato, del dono e della reciprocità operano in forma combinata nella regolazione degli scambi tra i membri della comunità. E, nella fase attuale, può costituire una piccola grande rivoluzione nelle modalità di fare agricoltura, welfare, intervento sociale, economia e sviluppo locale.

L’agricoltura sociale (AS) comprende una pluralità di esperienze non riconducibili ad un modello unitario accomunate dalla caratteristica di integrare nell’attività agricola attività di carattere sociosanitario, educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di ricreazione, diretti in particolare a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione.

Tali esperienze si collegano ad una attitudine antica dell’agricoltura – da sempre caratterizzata dal legame tra azienda agricola e famiglia rurale e da pratiche di solidarietà e mutuo aiuto – che oggi si presenta come un’ulteriore declinazione del concetto di multifunzionalità, capace di fornire risposte a variegati bisogni della società, soprattutto in ragione dei cambiamenti che interessano e interesseranno negli anni a venire il sistema del welfare.

La multifunzionalità dell’agricoltura è da tempo elemento di riferimento essenziale per l’evoluzione del mondo agricolo, ampiamente affermato dalla legislazione europea e nazionale, che riconosce all’agricoltura la capacità di produrre non solo cibo, ma anche numerosi altri beni e servizi utili. E si tratta non solo di beni e servizi suscettibili di una valutazione economica – e quindi diretti ad assicurare una diversificazione delle attività idonea a garantire opportunità di integrazione del reddito degli agricoltori – ma soprattutto di beni e servizi immateriali caratterizzati da un’utilità sociale che fornisce risposte a crescenti domande dei cittadini: dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio al presidio e alla salvaguardia del territorio e delle aree rurali, dall’uso sostenibile delle risorse naturali alla sicurezza alimentare.

L’agricoltura sociale si caratterizza quindi per esprimere il ruolo multifunzionale dell’agricoltura nel campo dei servizi alla persona, affiancando alla tradizionale funzione produttiva la capacità di generare benefici per fasce vulnerabili della popolazione, dando luogo a servizi innovativi che possono rispondere efficacemente alla crisi dei tradizionali sistemi di welfare e alla crescente richiesta di personalizzazione e qualificazione dei servizi sociali.

La possibilità per l’uomo di lavorare a contatto con il mondo vegetale ed animale, in un processo produttivo strettamente connesso con il ciclo della natura, risulta capace di generare effetti benefici sulle capacità motorie e psichiche, permettendo ad alcune fasce di popolazione in condizioni di marginalità, di sentirsi utili e partecipi della crescita economica.

Nelle esperienze di AS l’intervento sociale si colloca quindi in situazioni autenticamente produttive ed organizzate in forma di impresa e quindi non in una logica assistenziale. In particolare, l’inclusione sociale delle persone svantaggiate si realizza attraverso un’integrazione lavorativa nell’attività aziendale che punta all’ autosostenibilità economica dell’occupazione creata, grazie a modelli commerciali che permettano alle fattorie sociali di essere competitive sul mercato.

Per le istituzioni pubbliche favorire lo sviluppo dell’agricoltura sociale rappresenta quindi un interesse non solo etico, ma anche economico. Infatti, in termini economici, investire nelle fattorie sociali è motivo di ottimizzazione dei costi, perché consente alle persone, attraverso il lavoro, di passare dalla condizione di soggetto assistito alla condizione di soggetto attivo, dall’essere un costo all’essere una risorsa.

Al contempo, le pratiche di AS offrono un rilevante contributo allo sviluppo del territorio e delle comunità rurali, in quanto creano nuove opportunità di reddito e di occupazione, offrono concrete prospettive di inclusione sociale per soggetti vulnerabili, generano servizi per il benessere delle persone e delle comunità, migliorano la qualità della vita nelle aree rurali e periurbane, creano beni relazionali.

L’agricoltura sociale, più che una forma di diversificazione aziendale, rappresenta una possibile forma di economia e di agricoltura civile, dove i meccanismi del mercato, del dono e della reciprocità operano in forma combinata nella regolazione degli scambi locali tra i membri della comunità. Essa appare una pratica di «buona» economia e di «buona» crescita, che nell’attuale fase può costituire una piccola grande rivoluzione copernicana nelle modalità di fare agricoltura, in quelle dell’intervento sociale e nei modi di fare economia e sviluppo locale.

Sul piano organizzativo l’AS si esprime in una molteplicità di modelli, nati essenzialmente sulla base di iniziative spontanee. Si tratta, spesso, di realtà aggregate – nel senso che coinvolgono imprese o cooperative sociali agricole, ma anche servizi sanitari pubblici, associazioni e altre realtà del territorio – che utilizzano le norme attualmente vigenti a livello nazionale o regionale per formalizzare accordi o protocolli. In ogni caso è da segnalare la particolare attitudine di queste esperienze a “mettersi in rete”.

Nonostante la presenza di esperienze di collaborazione e di creazione di reti territoriali di AS vi è ancora un problema di creazione di conoscenza collettiva sul territorio e di collaborazione, di riuscire a mettere insieme le competenze in possesso della cooperazione sociale con le competenze che gli imprenditori agricoli hanno nel gestire processi i produttivi. Lo scopo è quello di creare reti in cui vi siano poli più presidiati dalle competenze sociosanitarie, dove necessario, ma connessi ad altre esperienze, progetti e reti, magari più informali, che consentano la progressiva uscita delle persone da strutture formali verso la società complessiva, in una logica di giustizia sociale e non assistenziale.

L’AS viene a intersecarsi, infatti, anche con gli obiettivi di salute già individuati dai piani sanitari nazionali, come la promozione di stili di vita più salutari, la salvaguardia dell’ambiente e il potenziamento della tutela dei soggetti “deboli”. L’agricoltura sociale può concorrere al raggiungimento di tali obiettivi, creando un circolo virtuoso in cui salute mentale e stile di vita salutare si potenziano vicendevolmente. Inoltre, nel campo della salute mentale, ma più in generale della disabilità, esistono esigenze che non sono soddisfatte nei luoghi tradizionali di cura e quindi la necessità di trovare nuovi percorsi di inclusione non convenzionali, sostenuti da reti di solidarietà in grado di catturare potenzialità inespresse del territorio.

Di fronte alle nuove esigenze anche finanziarie connesse all’invecchiamento della popolazione, l’agricoltura sociale può già offrire percorsi innovativi. Questa esperienza può aiutare a colmare un vuoto, perché è in grado di generare benefìci per una serie di fasce vulnerabili o svantaggiate, dando luogo a servizi innovativi che possano rispondere, da una parte, alla crisi dei sistemi di assistenza sociale, dall’altra al problema della riduzione della spesa sanitaria.

I benefici per le persone, confermati da evidenze scientifiche, appaiono riconducibili ad una pluralità di fattori che creano condizioni di cura o di benessere: il fattore natura, in quanto la vita all’aperto produce benessere e le persone si sentono più attive e motivate; l’importanza dell’attività fisica, con l’impegno delle persone in attività aventi uno scopo, ritmi e compiti precisi; la specificità dell’attività agricola che consiste nel prendersi cura di altri esseri viventi.

Circa il tema del rapporto tra il mondo agricolo e quello sociale, bisogna rilevare che i due ambiti non sono separati e non sono separabili, perché si intersecano nelle varie attività. Può succedere che alcune realtà abbiano una valenza più produttiva e offrano inserimento lavorativo e posti di lavoro per soggetti svantaggiati, mentre altre hanno una valenza più di tipo terapeutico-riabilitativa, fermo restando che in entrambi in casi siano necessarie le competenze richieste per l’attività concretamente svolta.

Sulla base di questa impostazione, si ritiene che dovrebbero essere considerati tre modelli di agricoltura sociale: le imprese agricole e le strutture rivolte prevalentemente alla produzione e al mercato, a prescindere dalla natura giuridica; le strutture terapeutiche, riabilitative e sociosanitarie; altre esperienze di carattere più complessivo e aperto (fattorie didattiche, impegno per gli anziani, e in generale servizi alla cittadinanza).

Una forma importante di sostegno alle esperienze di AS viene individuata nell’introduzione di criteri di priorità nelle assegnazioni di terreni di proprietà pubblica e di quelli confiscati alle mafie (Rete delle fattorie sociali, Forum nazionale dell’agricoltura sociale, INEA).

La considerazione del valore di tali esperienze costituisce la premessa di fondo dalla quale bisogna trarre le ragioni per cercare di fornire, sul piano parlamentare, sostegni agli operatori coinvolti e agevolarne le attività, finora avviate in un contesto di difficoltà normative e amministrative.

Bisogna maturare la convinzione della necessità di dotare l’agricoltura sociale di un definito quadro di riferimento legislativo a livello nazionale, al fine di accompagnarne compiutamente lo sviluppo in un percorso coordinato sul piano istituzionale. Si dovrebbero quindi individuare a livello nazionale i principi regolatori dell’attività, al fine di costruire una cornice di riferimento per la legislazione regionale e di coordinare le politiche e le competenze interessate, evitando tuttavia i rischi di una eccessiva codificazione.

https://www.benecomune.net/rivista/numeri/giugno-2015-le-radici-del-bene/lagricoltura-sociale-come-esperienza-di-economia-civile/

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18

Added April 17, 2020 at 8:06am by Anna Marini
Title: La rivoluzione copernicana dell’economia civile. L’Italia riparte da qui

La presidente di Legambiente spiega come un nuovo tipo di economia collaborativa e partecipativa sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese. È l'economia civile, che sarà protagonista di un festival a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, fino al 19 novembre.

C’è un’Italia che va oltre la crisi e che riparte e crede nell’economia civile, un nuovo tipo di economia collaborativa e partecipativa che sta lentamente, ma con forza innovativa, prendendo piede nel nostro Paese. Siamo di fronte a un nuovo modello di sviluppo che supera la concezione classica di economia e mette, invece, al centro la persona, i beni comuni e la forza dei legami comunitari.

È un’economia dalle radici antiche (le sue origini risalgono al Settecento) ma che è stata cancellata per secoli dal panorama economico e che ora torna finalmente alla ribalta. Risorge dalle ceneri, come l’araba fenice con la sua innata forza e dirompenza. E proprio l’economia civile e le tante esperienze messe in atto da cittadini, amministrazioni, associazioni, imprese solidali, sono le protagoniste del Festival dell’economia civile, in programma fino al 19 novembre a Campi Bisenzio, a pochi chilometri da Firenze. Il cuore di quella Toscana che dopo essere stato la culla del Rinascimento italiano ora diventa il centro di un nuovo e innovativo rinascimento in chiave economica.

Il festival dell’economia civile

Il festival, promosso dal Comune di Campi Bisenzio insieme a Legambiente, la Scuola di economia civile e Anci Toscana, con il patrocinio della Regione Toscana e della città metropolitana di Firenze, è stato pensato proprio per raccontare la grande forza dell’economia civile ma anche per promuovere i sei “cantieri” (welfare collaborativo, consumo consapevole, sviluppo sostenibile, nuovo lavoro giovanile, partecipazione attiva degli enti pubblici e rigenerazione urbana) di questo nuovo modello di sviluppo, raccontato nella tre giorni di rassegna con workshop, incontri e laboratori aperti anche alle scuole. Sei strade percorribili che possono contribuire ad avere un paese più giusto, solidale, sostenibile e innovativo, dove le parole chiave sono co-partecipazione, valorizzazione e tutela dei beni comuni, rispetto per l’ambiente per un mondo privo di disuguaglianze sociali e più felice.

In questo modo, seguendo e replicando questi sei cantieri in tutta la Penisola, si potrebbero affrontare problemi concreti e dagli effetti spesso drammatici, come la povertà economica e sociale sempre più in crescita nel nostro Paese (gli ultimi dati del rapporto Caritas parlano di 4,6 milioni di poveri nel 2015), lo spreco alimentare, piaga di un consumismo irresponsabile, e la disoccupazione giovanile. Allo stesso tempo, si potrebbe avviare un nuovo rinascimento urbano, sociale e ambientale per il rilancio delle aree urbane partendo, come sostiene l’architetto Renzo Piano, dal “rammendo delle periferie”, incentivare lo sviluppo di un modello energetico basato sulle fonti rinnovabili e spingere le amministrazioni ad essere sempre più attive e partecipative per una maggiore sinergia con i cittadini, rivitalizzando così il senso di appartenenza alla comunità.

Le esperienze e gli esempi di economia civile

Un sogno impossibile? No, per nulla. Ce lo stanno dimostrando le tante esperienze di economia civile che si stanno diffondendo dal nord al sud del Paese, accompagnate da una maggiore attenzione e sensibilità ai temi ambientali, e dall’adozione di stili di vita sostenibili.

Dalla spesa intelligente all’utilizzo delle doggy-bag per potare a casa il cibo che non si finisce al ristorante o alla mensa (come la Good-Food-Bag di Legambiente), dall’app contro lo spreco alimentare (ad esempio Last minute market che aiuta i negozianti nella vendita a prezzi scontanti dei prodotti prossimi alla scadenza), al baratto sociale e amministrativo (avviato dal comune toscano di Poggio Caiano), dai quartieri sempre più inclusivi (come accade a Milano) alle esperienze innovative degli oltre 8mila comuni rinnovabili (alcuni di questi sono anche 100 per cento rinnovabili), dove le energie pulite soddisfano tutti i consumi e riducono le bollette di cittadini. L’economia civile passa anche per la rigenerazione urbana, dal riuso degli spazi vuoti o abbandonati per dar vita a nuovi luoghi associativi e di appartenenza alla comunità alla riqualificazione delle aree dismesse per arrivare alle associazioni che incentivano il lavoro d’impresa, come le oltre 5mila buone pratiche censite dall’Università del riuso. Senza dimenticare quelle promosse dagli enti locali e censite dal laboratorio per la Governance dei beni comuni della Luiss.

L’economia civile può essere una risposta alla crisi profonda della nostra società

Buone pratiche di quel variegato mondo dell’economia civile che rappresenta una risposta tutta italiana alla crisi, profonda, che sta attraversando la società in cui viviamo. È importante, dunque, che non si chiudano gli occhi di fronte a questo cambiamento che sa di vera e propria rivoluzione copernicana. Come ha detto in più occasioni l’economista Stefano Zamagni, che chiuderà il festival con una lectio magistralis, nel nostro Paese “in questi decenni si è dimenticata la terza gamba, quella del bene comune”. Ora che questa gamba ha iniziato a muovere i suoi primi passi, non fermiamola. Anzi, che la politica nazionale abbia il coraggio di definire strumenti ad hoc per rafforzarla e contribuire a un cammino a lungo termine dell’economia civile.

https://www.lifegate.it/persone/news/festival-economia-civile-legambiente

DMU Timestamp: March 26, 2020 18:18





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