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Prima conferenza sulla psicanalisi

Sigmund Freud, Cinque conferenze sulla psicanalisi

BY GABRIELLA

Clark University

Clark University – Boston

Tra il 6 e il 10 settembre 1909, Freud tenne le cinque seguenti conferenze sulla psicoanalisi alla Clark University di Worcester (Boston).

Prima conferenza

Signore e signori, è per me un’esperienza nuova, direi quasi imbarazzante, tenere una conferenza davanti a un pubblico di studiosi del Nuovo Mondo. Credo di dovere tale onore al fatto che il mio nome è associato al tema della psicoanalisi e, di conseguenza, è della psicoanalisi che vi parlerò.

Cercherò, dunque, di darvi in forma succinta un panorama storico delle origini e dei successivi sviluppi di questo nuovo metodo di ricerca e di cura. Posto che sia un merito l’aver creato la psicoanalisi, questo merito non è mio. Io ero solo uno studente, tutto preso a superare gli ultimi esami, quando un altro medico viennese, il dottor Joseph Breuer (1), applicò per la prima volta questo metodo al caso di una ragazza isterica (1880-1882). Dobbiamo perciò occuparci subito della storia e del trattamento di detto caso, che troverete descritto in dettaglio in Studi sull’isteria, che Breuer e io pubblicammo in un secondo tempo (2).

Josef-Breuer

Joseph Breuer (1842 – 1925)

Ma consentitemi prima un’osservazione. Ho notato con grande soddisfazione che la maggior parte degli ascoltatori non appartiene alla classe medica. Non preoccupatevi: per seguire la mia esposizione non occorre una preparazione medica specifica.

Bertha Pappenheim (Anna O.)

Bertha Pappenheim (Anna O.)

Anche se per un po’ procederemo con i medici, ben presto li dovremo abbandonare, per seguire invece la strada del tutto personale indicata dal dottor Breuer. La paziente del dottor Breuer era una ragazza ventunenne di notevole intelligenza che, nel corso della sua malattia durata due anni, aveva presentato una serie di disturbi fisici e mentali, i quali meritavano un’attenta considerazione. Essa soffriva di una grave paralisi con anestesia di entrambi gli arti di destra, che a volte interessava anche quelli del lato sinistro del corpo, di disturbi della motilità oculare, con notevole danno della vista, di difficoltà nella postura del corpo, di forte “tussis nervosa”, di nausea ogni volta che cercava di alimentarsi e, una volta, di incapacità di bere, durata molte settimane, nonostante la sete tormentosa. Anche la sua capacità di linguaggio si era deteriorata, fino ad arrivare all’impossibilità di parlare e di capire la sua lingua madre; infine, la paziente andava soggetta a stati di “assenza”, di confusione, di delirio, di alterazione dell’intera personalità. Su queste ultime condizioni dovremo in seguito fermare la nostra attenzione.

Sentendo parlare di un quadro del genere, non c’è bisogno di essere medici per orientarsi verso qualche grave lesione, probabilmente cerebrale, che lascia poche speranze di guarigione e che anzi condurrà rapidamente a morte la paziente. Tuttavia i dottori ci diranno che in una serie di casi, dai sintomi così sfavorevoli, è giustificata un’interpretazione diversa, molto più favorevole. Quando troviamo un quadro sintomatico, come quello descritto, in una ragazza i cui organi vitali (cuore, reni) risultano all’esame obiettivo perfettamente normali, ma che ha sofferto di intense turbe emotive, e quando i sintomi differiscono, per certi fini dettagli, da quanto ci si dovrebbe logicamente aspettare, allora, in un caso simile, i dottori non si mostrano eccessivamente preoccupati. Essi escludono che vi sia una lesione organica cerebrale, e propendono per quella misteriosa condizione, nota sin dall’epoca della medicina greca come isteria, che è in grado di simulare tutta una serie di sintomi di diverse malattie; in tal caso, la vita della paziente non corre alcun rischio, anzi è probabile che si verifichi una guarigione spontanea.

La diagnosi differenziale tra una simile forma di isteria e una grave lesione organica non è sempre agevole. Ma a noi non interessa sapere come si arrivi a tale diagnosi; potete essere certi che il caso della paziente di Breuer era di quelli che qualunque medico preparato poteva correttamente diagnosticare come isteria. A questo punto, possiamo anche aggiungere un’annotazione, tratta dalla storia clinica del caso.

Il disturbo della paziente era insorto mentre essa assisteva suo padre, da lei teneramente amato, nel corso di una malattia che lo portò alla morte, assistenza cui fu costretta a rinunciare dato che lei stessa si ammalò.

Finora ci è convenuto procedere di pari passo con i medici ma fra poco dovremo lasciarli. Non dovete infatti credere che, dato un qualche intervento medico, le prospettive per la paziente siano essenzialmente migliori se è stata diagnosticata un’isteria invece di un’affezione cerebrale organica. Se è vero che contro le gravi lesioni del cervello la scienza medica è quasi sempre impotente, è anche vero che nel caso di affezioni isteriche, il medico può fare poco o niente. Egli deve allora lasciare alla natura benigna della malattia il quando e il come si realizzerà la sua prognosi favorevole (3). Di conseguenza, una volta riconosciuto il quadro morboso come isterico, poco viene a cambiare per quanto riguarda la situazione del paziente, ma molto per quanto riguarda l’atteggiamento del medico. Possiamo infatti osservare che quest’ultimo si pone di fronte agli isterici in modo completamente diverso da quello in cui si pone di fronte ai pazienti affetti da malattie organiche. Egli non dedicherà agli isterici lo stesso interesse che ha per gli organici, dal momento che le sofferenze degli isterici sono molto meno gravi, e tuttavia esigono di essere considerate altrettanto seriamente. Ma c’è un altro motivo per tale atteggiamento. Il medico, che grazie ai suoi studi ha imparato tante cose ignote ai profani, può essersi fatto un’idea sulle cause e sulle alterazioni delle malattie cerebrali, per esempio nei pazienti affetti da apoplessia o da demenza, idea che, fino a un certo punto, può essere esatta dato che gli consente di comprendere la natura di ogni sintomo.

Ma di fronte al quadro peculiare dei sintomi isterici, tutta la scienza, tutta la sua preparazione di anatomo-fisiologo e di patologo, non lo soccorrono affatto. Egli non riesce a comprendere l’isteria: di fronte a essa, si trova nella stessa posizione del profano. Ora, per chi sia solito avere una grande opinione del proprio sapere, questo non è certo piacevole.

Chi soffre di isteria, perciò, tende a perdere le sue simpatie e viene considerato persona che osa trasgredire le leggi della sua scienza, proprio come un ortodosso può considerare gli eretici; ecco affibbiate agli isterici tutte le malvagità possibili, eccoli rimproverati per le loro esagerazioni e i loro inganni volontari, cioè per “simulazione”; eccoli puniti con la non concessione di alcun interesse per loro. Nessun appunto del genere può, ora, esser mosso al dottor Breuer; poiché egli dedicò alla sua paziente simpatia e interesse, anche se all’inizio non sapeva proprio come aiutarla. In questo Breuer fu forse agevolato dalle eccellenti doti di spirito e di carattere della paziente, come attesta la storia che egli ci dà del caso. Ad ogni modo, grazie alla sua affettuosa comprensione, egli trovò ben presto la strada che rese possibile un primo aiuto.

Si era notato che, quando cadeva nei suoi stati di “assenza” e di confusione psichica, la paziente soleva mormorare tra sé parecchie parole, che sembravano provenire da associazioni che occupavano i suoi pensieri. Una volta afferrate queste parole, il medico mise la paziente in una specie di ipnosi e gliele ripeté in continuazione, in modo da far affiorare tutte le associazioni che potessero avere. La paziente si attenne alle istruzioni e fu in grado di riprodurre le creazioni psichiche che dominavano i suoi pensieri durante le “assenze” e che si tradivano nelle specifiche parole pronunciate. Si trattava di fantasie, di una profonda tristezza, spesso di una bellezza poetica, sogni ad occhi aperti, potremmo definirle, che di solito prendevano lo spunto dalla situazione di una ragazza al capezzale del padre malato. Dopo aver riferito un certo numero di tali fantasie, la paziente era, per così dire, come liberata, e riportata alla sua vita psichica normale. Questo benessere soleva durare parecchie ore, per essere poi seguito, il giorno dopo, da una nuova “assenza” che poteva essere risolta allo stesso modo, col riferire cioè le fantasie più recenti.

Non ci si poteva sottrarre alla sensazione che l’alterazione psichica manifestata nell'”assenza” fosse una conseguenza delle eccitazioni provenienti da quelle immagini fantastiche dotate di intensa carica emotiva. La paziente stessa, che in quel periodo della malattia, cosa piuttosto strana, capiva e parlava solo l’inglese, battezzò questo nuovo tipo di trattamento col nome di “talking cure” (cura con le parole) e qualche volta lo chiamava scherzosamente “chimney sweeping”(spazzare il camino). Ben presto il medico venne a scoprire che mediante tale “ripulitura” della psiche, si poteva realizzare qualcosa di più di una temporanea eliminazione dell'”offuscamento” mentale continuamente ricorrente. I sintomi della malattia cioè scomparivano allorché la paziente, sotto ipnosi, riusciva a ricordare in quale circostanza e con quali legami associativi essi si erano manifestati per la prima volta, a patto che venissero espresse le emozioni concomitanti.

Si era d’estate, in un periodo di afa intensa, e la paziente aveva sofferto moltissimo la sete; sicché, senza ragioni plausibili, essa non era riuscita più a bere. Così, prendeva un bicchiere d’acqua, ma non appena lo portava alle labbra lo respingeva bruscamente come se fosse affetta da idrofobia. Naturalmente, in quei brevi attimi, era in stato di “assenza”. Per alleviare in qualche modo la sete che la torturava, la paziente mangiava solo frutta, meloni e roba del genere. Dopo circa sei settimane di un tale stato di cose, un giorno, mentre in ipnosi stava parlando della sua antipatica governante inglese, le uscì finalmente detto, con evidenti segni di ribrezzo, che una volta era entrata nella sua stanza e aveva visto il suo odioso cagnolino che beveva in un bicchiere. Per una forma di cortesia, la paziente non aveva detto nulla. Ora, dopo esser riuscita ad esprimere violentemente tutta la sua collera repressa, chiese di bere e trangugiò una grande quantità di acqua senza il minimo disturbo; si svegliò dall’ipnosi col bicchiere alle labbra. Da allora il sintomo scomparve definitivamente (4).

Permettetemi di soffermarmi un momento su questa esperienza. Mai nessuno, fino allora, aveva guarito un sintomo isterico con tali sistemi, né si era tanto avvicinato alla scoperta della sua causa. Una simile scoperta sarebbe stata particolarmente significativa, se fosse venuta a confermare l’ipotesi che anche gli altri sintomi, forse la maggior parte, fossero insorti nella paziente allo stesso modo e con lo stesso metodo potessero essere eliminati. Breuer non risparmiò fatica per convincersene e si mise a studiare la patogenesi degli altri sintomi più gravi, seguendo un piano più sistematico. Le cose stavano proprio così; quasi tutti i sintomi erano insorti esattamente allo stesso modo, come residui, come “precipitati” (se così si può dire) di esperienze effettivamente cariche, che, per tale motivo, denominammo in seguito “traumi psichici”. La natura dei sintomi divenne chiara quando essi furono messi in rapporto con la scena che li aveva provocati. I sintomi erano cioè, tecnicamente parlando, “determinati” dalla scena, e ne rappresentavano le tracce mnestiche, per cui non potevano più essere descritti come attributi arbitrari o enigmatici della nevrosi.

Ma qui devo menzionare una sola variante: non sempre era un’esperienza unica a produrre il sintomo, ma di solito numerosi traumi ripetuti, forse molto simili, contribuivano a determinarlo. Era necessario ripetere l’intera sequenza dei ricordi patogeni in ordine criminologico e, naturalmente, procedendo a ritroso, cioè gli ultimi per primi e i primi per ultimi. Era infatti impossibile risalire direttamente al primo, e spesso fondamentale, trauma, senza prima chiarificare quelli più recenti. Ora naturalmente, vi piacerebbe che io vi parlassi di altri esempi di produzione di sintomi isterici, oltre a quello dell‘impossibilità di bere a causa del disgusto provocato dal cane che beveva nel bicchiere.

Ma, dovendo attenermi al programma, è giocoforza che mi limiti a pochissimi esempi. Breuer, per esempio, riferisce che i disturbi visivi della sua paziente si potevano far risalire a cause esterne, nel modo seguente:

La paziente, con gli occhi pieni di lacrime, era seduta al capezzale del padre malato, quando questi gli chiese improvvisamente l’ora. Lei non distingueva chiaramente, aguzzò gli occhi per vedere, avvicinò a sé l’orologio, col quadrante che appariva ingrandito (macropsia con strabismo convergente); oppure si sforzò al massimo di trattenere le lacrime affinché il malato non la vedesse piangere (5).

Del resto tutte le impressioni patogene risalivano al periodo in cui lei aveva prestato assistenza al padre malato.

Una notte essa vegliava nella più grande ansia il malato che era in preda a una febbre altissima, tutta in tensione perché da Vienna doveva arrivare un chirurgo per operarlo. La madre era uscita, e Anna sedeva accanto al letto, col braccio destro penzolante lungo la spalliera della sedia. Cadde così in una ‘rêverie’, e vide un serpente nero come sbucare dalla parete e avvicinarsi al malato per morderlo. (E’ molto probabile che la ragazza avesse visto realmente parecchi serpenti nel prato dietro casa e ne fosse rimasta spaventata, e che queste pregresse esperienze fornissero il materiale per l’allucinazione). Cercò di scacciare la bestia, ma sembrava paralizzata. Il braccio destro, che penzolava dietro la sedia, si era ‘addormentato’ diventando insensibile e paretico, e quando lei lo guardò, le dita si trasformarono in tanti serpentelli con teschi (le unghie). E’ probabile che lei abbia cercato di allontanare il serpente con la mano destra paralizzata, così che l’anestesia e la paralisi dell’arto vennero ad associarsi con l’allucinazione del serpente. Quando questa svanì, essa, in preda all’angoscia, cercò di parlare ma non vi riuscì. Non poteva esprimersi in nessuna lingua, finché non le vennero in mente le parole di una filastrocca inglese e da quel momento poté pensare e parlare solo in quella lingua(6).

Allorché, in ipnosi, fu rivissuto il ricordo di questa scena, la paralisi del braccio destro, che esisteva fin dall’inizio della malattia, si risolse e il trattamento finì. Quando, dopo qualche anno, io stesso cominciai ad applicare le indagini e la terapia di Breuer sui miei pazienti, mi accorsi che le mie esperienze coincidevano perfettamente con le sue. Ad esempio, nel casi di una donna sulla quarantina, si trattava di un tic, un caratteristico schiocco rumoroso, che si manifestava ogni volta che la paziente si emozionava per qualche eccitazione, senza nessun apparente motivo. L’origine del tic risiedeva in due esperienze, il cui denominatore comune era il suo tentativo di non far rumore; ebbene, per una sorta di contro-volontà, proprio questo rumore veniva a rompere il silenzio. La prima volta era riuscita, a gran fatica, a fare addormentare il suo bambino ammalato, e si sforzava di restarsene nel più assoluto silenzio per non svegliarlo. La seconda volta, mentre faceva una passeggiata in carrozza con i figlioli, scoppiò un temporale e i cavalli si imbizzarrirono, per cui lei evitò accuratamente di fare il minimo rumore per non spaventarli maggiormente (7). Ho voluto citarvi quest’esempio in luogo di molti altri che sono riportati in Studi sull’isteria.

Eleanor Cross

Eleanor Cross

Signore e signori, se mi è permessa una generalizzazione, e ciò mi sembra indispensabile tenendo conto della sommaria presentazione, possiamo riassumere i risultati finora ottenuti nella formula: I nostri pazienti isterici soffrono di reminiscenze. I loro sintomi sono i residui e i simboli mnestici di certe esperienze (traumatiche). Per comprendere meglio questo tipo di simbolismo può essere utile un paragone con altri simboli mnestici di origine diversa. Le statue e i monumenti che abbelliscono le nostre grandi città sono in fondo simboli mnestici. Se fate una passeggiata per Londra, proprio di fronte a una delle più grandi stazioni ferroviarie della città, vi imbatterete in una colonna gotica ricca di fregi, la “Charing Cross”. Uno degli antichi re Plantageneti, nel tredicesimo secolo, fece trasportare la salma della sua adorata moglie Eleonora a Westminster, e volle che si erigesse una croce gotica in ogni luogo dove la bara sostasse. Charing Cross è appunto l’ultimo di questi monumenti che testimoniano il ricordo di quel triste viaggio (8).

In un altro punto della città si può vedere un’alta colonna, di costruzione più recente, chiamata semplicemente “il monumento”. Essa sta a ricordare il furioso incendio che divampò in quella zona nel 1666, e che distrusse gran parte della città.Questi monumenti sono appunto simboli mnestici: e fin qui il paragone ci sembra giusto. Ma cosa pensereste di un londinese, oggi, che se ne stesse con aria triste davanti al monumento funebre della Regina Eleonora, invece di accudire ai suoi affari con quell’affaccendamento tipico della moderna condizione industriale o di spassarsela con la reginetta del suo cuore? O di un altro, che davanti al “Monumento” gemesse sull’incendio della sua amata città, che da tempo è ormai ricostruita più splendente di prima? Ora, gli isterici e tutti i nevrotici si comportano proprio come questi due sprovveduti londinesi, non solo perché ricordano le tristi esperienze di un passato ormai lontano, ma anche perché ne sono profondamente affetti. Essi non possono sottrarsi al passato e, per esso, trascurano la realtà del presente. Tale fissazione della vita psichica al trauma patogeno è una caratteristica essenziale, e in pratica la più significativa della nevrosi.

Accetterò ora volentieri l’obiezione che forse state formulando nel riflettere sulla storia della paziente di Breuer. Tutti i suoi traumi si produssero nel periodo in cui assisteva il padre malato, e quindi i suoi sintomi potevano benissimo considerarsi soltanto come simboli mnestici della malattia e della morte di lui. Essi corrispondevano cioè al lutto, e la fissazione al ricordo del defunto, a così breve distanza dalla sua scomparsa, non si può certo considerare patologica, ma corrisponde piuttosto a un normale comportamento emotivo.

Lo ammetto: nel caso della paziente di Breuer, la fissazione affettiva al trauma non è affatto anormale. Ma in altri casi, come quello del tic prima menzionato, le cui circostanze di insorgenza risalivano a dieci e quindici anni prima, la caratteristica di questo attaccamento al passato appare molto evidente, cosa che si sarebbe verificata anche per la paziente di Breuer se non fosse stata sottoposta al “trattamento catartico” a così breve distanza dalle esperienze traumatiche, e all’inizio della malattia. Fino adesso ci siamo limitati a chiarire il rapporto dei sintomi isterici con il passato biografico della paziente: ora, fermandoci a considerare due altri aspetti osservati da Breuer, possiamo ricavare qualche indicazione relativa ai meccanismi di insorgenza della malattia e a quelli della sua guarigione. Per quel che riguarda il primo, va particolarmente notato che in quasi tutte le situazioni patogene la paziente di Breuer doveva reprimere un’eccitazione intensa invece di esprimerla scaricandosi con parole e azioni appropriate. Nel piccolo incidente del cane della governante, essa represse, per una forma di educazione, tutte le manifestazioni del suo fortissimo ribrezzo. Quando, poi, era seduta al capezzale del padre malato, stava molto attenta a non lasciar trapelare il minimo segno della sua ansia e della sua penosa depressione. Quando, in seguito, riprodusse le stesse scene davanti al medico, le emozioni che erano state represse in quelle circostanze, esplosero con particolare violenza, come se nel frattempo fossero state imbottigliate. I sintomi che erano stati provocati dalle scene raggiunsero la massima intensità allorché il medico cercò di far rivivere il ricordo delle scene stesse, e sparirono dopo che esse furono completamente chiarificate.

D’altra parte l’esperienza mostra che se le scene traumatiche vengono riprodotte davanti al medico senza la concomitante espressione affettiva, il procedimento terapeutico non sortisce alcun effetto. Sembra dunque che proprio da questi processi affettivi dipendano sia la malattia che la guarigione del paziente. Possiamo a buon diritto considerare l’”affetto” come una “quantità” che può essere aumentata, derivata o spostata. Siamo perciò portati a concludere che la paziente si ammalò poiché agli affetti sviluppatisi nella situazione patogena fu preclusa una via d’uscita normale e che l’essenza della malattiarisiede nel fatto che questi affetti “bloccati” vanno incontro a una serie di trasformazioni abnormi. Una parte, cioè, si mantiene come un carico permanente e come fonte costante di disturbi della vita psichica; un’altra parte subisce una trasformazione in disturbi dell’innervazione corporea e in inibizioni, che rappresentano i sintomi fisici del soggetto. Per questo ultimo processo abbiamo coniato il termine di “conversione isterica“. Del resto, una parte della nostra energia psichica, in condizioni normali, viene incanalata attraverso l’innervazione somatica e realizza ciò che definiamo “l’espressione delle emozioni”. Ora la conversione isterica esagera tale parte del deflusso di un processo psichico affettivamente carico; essa corrisponde a un’espressione emotiva di gran lunga più intensa, che trova uno sbocco in nuove vie. Se un corso d’acqua scorre in due alvei, uno di essi traboccherà non appena la corrente nell’altro si imbatterà in un ostacolo.

Come vedete, ci troviamo sulla strada giusta per arrivare a una teoria puramente psicologica dell’isteria, in cui il primo posto spetta ai processi affettivi. Ma un’altra osservazione di Breuer ci induce ad attribuire all’alterazione dello stato di coscienza una parte di rilievo nel determinare le caratteristiche della malattia. La sua paziente, infatti, accanto alle condizioni psichiche normali, presentava diversi tipi di disturbi mentali, come stati di “assenza”, di confusione e di alterazione del carattere. In condizioni di normalità era assolutamente ignara delle scene patogene e del loro rapporto con i sintomi, poiché o le aveva dimenticate o comunque le aveva dissociate dal loro nesso patologico. Quando si trovava sotto ipnosi, era possibile, anche se con molte difficoltà, far riaffiorare alla memoria dette scene, e con tale sistema di rievocazione i sintomi potevano essere liquidati. Ora, sarebbe stato veramente problematico riuscire a interpretare questo fatto, se non ci fossero venute in aiuto la pratica e gli esperimenti dell’ipnotismo.

Lo studio dei fenomeni ipnotici ci ha ormai familiarizzati con l’idea, per quanto strano possa apparire a prima vista, che in un unico individuo possono esistere vari raggruppamenti psichici, in grado di mantenersi relativamente indipendenti tra loro, di “ignorarsi” a vicenda, i quali possono provocare una “scissione” della personalità lungo linee da essi fissate. Casi di questo genere, noti come “doppia personalità” (“doppia coscienza”), qualche volta si manifestano spontaneamente. Ora, se in una tale scissione della personalità la coscienza rimane legata permanentemente a uno dei due stati psichici, quest’ultimo viene denominato “stato psichico conscio”, mentre l’altro prende il nome di stato psichico “inconscio”. Un ottimo esempio per comprendere come lo stato inconscio possa influenzare quello conscio, benché quest’ultimo ignori completamente l’esistenza dell’altro, ci è offerto dal ben noto fenomeno della suggestione post-ipnotica, in cui un comando impartito sotto ipnosi viene eseguito successivamente in condizioni normali, quasi sotto un impulso imperioso.

Proprio allo stesso modo è possibile spiegare i fatti che si svolgono nei casi di isteria: Breuer giunse infatti alla conclusione che i sintomi isterici si sviluppassero in stati psichici particolari che egli chiamò “stati ipnoidi”. Esperienze affettive che si verificano in tali stati ipnoidi diventano facilmente patogene, poiché esse non consentono la normale scarica dgli affetti legati ai processi eccitativi. Come risultato, si ha allora la insorgenza di quel prodotto specifico del processo di eccitazione che è il sintomo, sintomo che penetra come un corpo estraneo nello stato psichico normale. Quest’ultimo dunque, non ha idea dell’importanza della condizione ipnoide patogena. Dove insorge un sintomo, là troviamo anche un’amnesia, una lacuna mnestica, e per riempire questa lacuna bisogna eliminare appunto le condizioni che diedero origine ai sintomi stessi.

Giunti a questo punto, temo che questa parte della mia esposizione non vi sia sembrata troppo chiara, ma dovete tener presente che si tratta di ipotesi nuove e difficili, e che forse non possono venir rese con chiarezza maggiore. Tutto ciò sta a dimostrare che le nostre conoscenze in questo campo non sono ancora molto progredite. Per di più la teoria di Breuer degli stati ipnoidi si è rivelata non solo superflua, ma addirittura di ostacolo a ulteriori ricerche, per cui è stata abbandonata dall’attuale concezione della psicoanalisi. Cercherò in seguito di accennarvi almeno quali altri influssi e quali altri processi sono stati scoperti oltre quello degli stati ipnoidi, che rappresentano per Breuer l’unico momento eztiologico.

Avete forse avuto l’impressione, e giustamente, che le ricerche di Breuer non potevano fornirvi che una teoria molto incompleta e una spiegazione insufficiente dei fenomeni osservati. Ma le teorie esatte non ci cascano dal cielo, e a maggior ragione avreste diffidato di qualcuno che vi avesse presentato fin dall’inizio delle sue osservazioni una bella teoria a tutto tondo, senza la minima lacuna; una siffatta teoria potrebbe essere solo il prodotto di speculazioni personali e non il frutto di un’imparziale ricerca dei fatti.

Note

1. Il dottor Joseph Breuer, nato nel 1842, membro corrispondente della “Kaiserliche Akademie der Wissenschaften”, noto per i suoi lavori sulla respirazione e sulla fisiologia del senso di equilibrio.

2. Studi sull’isteria, 1895, Deuticke, Vienna. Seconda edizione 1909. Brani di miei contributi al volume sono stati tradotti in inglese dal dottor A. A. Brill di New York (Selected papers on Histeria and Other Psychoneuroses di Sigmund Freud).

3. So che questo punto di vista oggi non è più valido, ma, nella conferenza, io e i miei ascoltatori ci riportiamo al periodo anteriore al 1880. Se da allora le cose sono cambiate, ciò è in gran parte dovuto a tutto il lavoro di cui ora sto tracciando la storia.

4. Studi sull’isteria, seconda edizione, p. 26.

5. Ivi, p. 31.

6. Ivi, p. 30.

7. Ivi, pp. 43-46. Ho sotto gli occhi brani di questo libro con l’aggiunta di parecchi scritti successivi sull’isteria nella traduzione inglese del dottor A. A. Brill di New York. Il titolo è Selected papers on Hysteria and Other Psychoneuroses, 1909.

8. O meglio una tarda imitazione di quel monumento. Secondo il dottor E. Jones lo stesso nome “Charing” deriverebbe dalle parole“chère reine”.

DMU Timestamp: August 17, 2015 20:40





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