rimasto a gran pezza lontano dal fare ciò di cui si lusingava, cioè conoscere a priori la possibilità di un essere così sublimemente ideale. Tutta la fatica e lo studio posto nel tanto famoso argomento ontologico dell’esistenza di un Essere supremo sono stati dunque perduti, e un uomo mediante semplici idee potrebbe certo arricchirsi di conoscenze né più né meno di quel che un mercante potrebbe arricchirsi di quattrini se egli, per migliorare la propria condizione, volesse aggiungere alcuni zeri alla sua situazione di cassa.
Se io in un giudizio identico sopprimo il predicato e mantengo il soggetto, ne viene una contraddizione, e quindi io dico: quello appartiene a questo in maniera necessaria. Ma se io sopprimo il soggetto insieme con il predicato, non nasce nessuna contraddizione, perché non c’è più nulla a cui si possa contraddire. Affermare un triangolo e insieme negarne i tre angoli è contraddittorio; ma negare il triangolo insieme con i suoi tre angoli, non è una contraddizione. Lo stesso è del concetto di essere assolutamente necessario. Se voi ne negate l’esistenza, voi negate anche la cosa stessa con tutti i suoi predicati; dove può sorgere allora la contraddizione? Esternamente non c’è niente a cui si contraddirebbe, perché la cosa non deve essere esternamente necessaria; internamente neppure, perché, negando la cosa, voi avete insieme negato tutto l’interno.
“Dio è onnipotente”, è un giudizio necessario. L’onnipotenza non può essere negata, se voi affermate una divinità, cioè un essere infinito, col cui concetto egli è identico. Ma se voi dite: Dio non è, allora non è data né l’onnipotenza, né alcun altro de’ suoi predicati, giacché essi sono tutti soppressi insieme col soggetto; né in questo pensiero si vede la minima contraddizione.
Voi dunque avete veduto che, se io nego il predicato di un giudizio insieme col soggetto, non può venire mai una contraddizione interna, sia pure il predicato quale si voglia. Ora non vi resta altro scampo che dire: ci sono soggetti, che non possono assolutamente esser negati, e che dunque devono restare. Ma sarebbe precisamente come dire: ci sono soggetti assolutamente necessari: presupposto, della cui legittimità io ho per l’appunto dubitato, e la cui possibilità voi mi volete dimostrare. Infatti io non mi posso fare il più piccolo concetto di una cosa, che, se fosse negata con tutti i suoi predicati, si lascerebbe dietro una contraddizione; e senza la contraddizione, per via di semplici concetti puri a priori, io non ho nessun carattere della impossibilità.
Contro tutti questi ragionamenti generali (ai quali non c’è uomo che possa ricusarsi) voi mi sfidate con un caso, che arrecate come prova di fatto: che tuttavia c’è un concetto, e questo unico concetto, in cui il non essere, la negazione del suo oggetto è in se stesso contraddittorio: e questo è il concetto dell’Essere realissimo. Esso ha, voi dite, tutte le realtà, e voi siete in diritto di ammettere come possibile un tal essere (ciò che io per ora ammetto, benché il concetto che non si contraddice sia ben lungi dal dimostrare la possibilità dell’oggetto). Ma fra tutte le realtà è compresa anche l’esistenza; dunque, nel concetto di un possibile c’è l’esistenza. Ora, se si nega questa cosa, è negata la possibilità interna della cosa; ciò che è contraddittorio.
Io rispondo: voi avete già commessa una contraddizione quando, nel concetto d’una cosa che volete pensare unicamente nella sua possibilità, avete introdotto, sia pure sotto occulto nome, il concetto della sua esistenza. Se vi si concede questo, voi in apparenza avete guadagnato il gioco, ma in fatto non avete detto niente; perché siete incorsi in una semplice tautologia. Io vi domando: la proposizione questa o quella cosa (che io vi concedo come possibile, sia qual si voglia) esiste, questa proposizione, dico, è una proposizione analitica o sintetica? Se è analitica, allora voi, con l’esistenza della cosa, non aggiungete nulla al vostro pensiero della cosa; ma allora o il pensiero, che è in voi, dovrebbe essere la cosa stessa, o voi avete supposta un’esistenza come appartenente alla possibilità e poi avete fatto mostra di dedurre l’esistenza dall’intera possibilità. Ciò che non è altro cheuna misera tautologia.
La parola “realtà” che nel concetto della cosa suona altrimenti che “esistenza” nel concetto del predicato, non giova. Perché, se voi dite realtà anche ogni posizione (qualunque cosa poniate), allora voi avete già posto la cosa con tutti i suoi predicati nel concetto del soggetto, e l’avete ammessa come reale, e nel predicato non fate che ripeterla. Se voi riconoscete, al contrario, come discretamente deve ogni essere ragionevole, che ogni giudizio esistenziale è sintetico; come volete asserire, che il predicato dell’esistenza non si possa negare senza contraddizione? Poiché tale prerogativa non spetta propriamente se non ai giudizi analitici, come quelli il cui carattere si fonda appunto su ciò. Io, in verità, spererei di aver ridotto in nulla con una esatta determinazione del concetto di esistenza questa sottile sofisticheria, se non avessi trovato che l’illusione, nello scambio di un predicato logico con uno reale (cioè della determinazione di una cosa) prevale quasi su qualsiasi ragionamento.
Per predicato logico può servire tutto ciò che si vuole, anzi il soggetto si può predicare di se stesso; giacché la logica astrae da ogni contenuto. Ma la determinazione è un predicato, che s’aggiunge al concetto del soggetto, e lo accresce. Essa quindi non vi può essere già contenuta. Essere, manifestamente, non è un predicato reale, cioè un concetto di qualche cosa che si possa aggiungere al concetto di una cosa. Essere è semplicemente la posizione di una cosa di certe determinazioni in se stesse. Nell’uso logico è unicamente la copula di un giudizio. Il giudizio: Dio è onnipotente, contiene due concetti, che hanno i loro oggetti: Dio è onnipotenza: la parolina “è” non è ancora un predicato, bensì solo ciò che pone il predicato in relazione col soggetto. Ora, se io prendo il soggetto (Dio) con tutti insieme i suoi predicati (ai quali appartiene anche l’onnipotenza), e dico: Dio è, c’è un Dio, io non affermo un predicato nuovo del concetto di Dio, ma soltanto il soggetto in sé con tutti i suoi predicati, e cioè l’oggetto in relazione col mio concetto. Entrambi devono avere esattamente un contenuto identico, e però nulla si può aggiungere di più al concetto, che esprime semplicemente la possibilità, per il fatto di pensare l’oggetto come assolutamente dato (con l’espressione: egli è). E così il reale non viene a contenere niente più del semplice possibile. Cento talleri reali non contengono assolutamente nulla di più di cento talleri possibili. Perché, dal momento che i secondi denotano il concetto, e i primi invece l’oggetto e la sua posizione in sé, nel caso che questo contenesse più di quello, il mio concetto non esprimerebbe tutto l’oggetto, e però anch’esso non ne sarebbe il concetto adeguato. Ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c’è più che nel semplice concetto di essi (cioè nella loro possibilità). Infatti l’oggetto, per la realtà, non è contenuto senz’altro, analiticamente nel mio concetto, ma s’aggiunge sinteticamente al mio concetto (che è una determinazione del mio stato), senza che per questo essere fuori del mio concetto questi cento talleri stessi del pensiero vengano ad essere minimamente accresciuti.
Se io dunque penso una cosa con quali e quanti predicati io voglio (magari nella sua determinazione completa) non s’aggiunge alla cosa stessa il minimo che, per il fatto che io soggiungo ancora: questa cosa è. Perché altrimenti non esisterebbe per l’appunto lo stesso, ma più di quel che io avevo pensato nel concetto; e io non potrei dire che esiste precisamente l’oggetto del mio pensiero. Parimenti, se io in una cosa penso tutte le realtà, eccetto una, non perché dico: una tale cosa difettosa esiste, le si aggiunge la realtà mancante; ma essa esiste precisamente con lo stesso difetto con cui l’ho pensata; altrimenti, esisterebbe qualcos’altro da ciò che io pensavo. Ora, se io mi penso un essere come la Realtà suprema (senza difetto), resta sempre la questione, se esso esista o no. Giacché, quantunque nel mio concetto non ci manchi nulla del possibile contenuto reale di una cosa in generale, pure ci manca ancora qualcosa nel rapporto con lo stato intero del mio pensiero: ossia, manca che la conoscenza di quell’oggetto sia possibile anche a posteriori. E qui apparisce anche la causa della presente difficoltà. Se si trattasse di un oggetto dei sensi, non potrei scambiare l’esistenza della cosa col semplice concetto della cosa. Infatti, per il concetto, l’oggetto non vien pensato se non come conforme alle condizioni generali di una possibile conoscenza empirica in generale; per l’esistenza, invece, come contenuto nel contesto dell’esperienza totale; se dunque per la connessione del contenuto dell’esperienza totale il concetto dell’oggetto non è minimamente accresciuto, il nostro pensiero, peraltro, mediante essa acquista una percezione possibile di più. Al contrario, se noi vogliamo pensare l’esistenza soltanto mediante la categoria pura, nessuna meraviglia che non possiamo fornire nessun carattere per distinguerla dalla semplice possibilità.
Sia quale e quanto si voglia il contenuto del nostro concetto di un oggetto, noi, dunque, dobbiamo sempre uscire da esso, per conferire a questo oggetto l’esistenza. Negli oggetti dei sensi questo accade mediante la connessione con una delle mie percezioni secondo leggi empiriche; ma per gli oggetti del pensiero puro non c’è assolutamente mezzo di conoscere la loro esistenza, poiché questa dovrebbe conoscersi interamente a priori; ma la nostra coscienza di ogni esistenza (o per percezione, immediatamente, o per ragionamenti, che rannodano qualche cosa alla percezione) appartiene in tutto e per tutto all’unità dell’esperienza; e un’esistenza fuori di questo campo non può certo esser dichiarata assolutamente impossibile, ma è un’ipotesi che non abbiamo modo di giustificare.
Il concetto di un Essere supremo è un’idea per più rispetti molto utile; ma appunto perciò, essendo semplice idea, è affatto incapace di dilatare, soltanto per suo proprio mezzo, la nostra conoscenza rispetto a quello che esiste. Essa non ha tanto potere da istruirci rispetto alla possibilità di una pluralità. Il carattere analitico della possibilità, consistente in questo, che semplici posizioni (realtà) non producono nessuna contraddizione, non può certamente essergli contestato; ma poiché la connessione di tutte le proprietà reali di una cosa è una sintesi, della cui possibilità non ci è dato di giudicare a priori, in quanto che non ci son date specificamente le realtà, e, quand’anche ciò accadesse non ci sarebbe punto di giudizio, perché il carattere della possibilità di conoscenze sintetiche va sempre cercato nell’esperienza, alla quale per altro non può appartenere l’oggetto di una idea, cosìil celebre Leibniz è rimasto a gran pezza lontano dal fare ciò di cui si lusingava, cioè conoscere a priori la possibilità di un essere così sublimemente ideale. Tutta la fatica e lo studio posto nel tanto famoso argomento ontologico da concetti (cartesiano) dell’esistenza di un Essere supremo sono stati dunque perduti, e un uomo mediante semplici idee potrebbe certo arricchirsi di conoscenze né più né meno di quel che un mercante potrebbe arricchirsi di quattrini se egli, per migliorare la propria condizione, volesse aggiungere alcuni zeri alla sua situazione di cassa [I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 380-384].
Riassumi la dimostrazione kantiana, elaborando uno schema dei passaggi il più completo possibile.
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Per ora, li avete solo scritti sulla dx, lasciandoli slegati dal testo
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Giudizio identico (o di identità): A=A Se dico che A è uguale ad A e sopprimo A ne emerge una contraddizione, perché A diventerebbe uguale a qualcosa che non c’è.
Allo stesso modo, affermare un triangolo e negare i tre angoli è contraddittorio (i tre angoli sono una definizione del concetto di "tri""angolo"), ma negare il triangolo insieme con i tre angoli non è contraddittorio.
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….
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Kant nella critica della ragion pura afferma che negando l’esistenza, si negano a sua volta il predicato e la cosa al suo interno, quindi la contraddizione non può persistere né internamente né esternamente.
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Negando l’esistenza di Dio, perderanno di significato tutti i predicati a lui appartenenti, tra cui l’Onnipotenza. Ci sono però soggetti che non possono essere negati, quindi necessari,ma messi in dubbio ,necessitano di dimostrazione. Infatti, negando il concetto di una cosa e i suoi predicati si lascerebbe indietro una contraddizione,quindi l’impossibilità è nulla.
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L’argomento ontologico non esiste: per dimostrare l’esistenza di Dio bisogna usare l’argomento a posteriori (cioè che Dio è causa di qualcosa di cui faccio esperienza e che non può essere causa di se stesso), ma in questo caso si presuppone ciò che si dovrebbe dimostrare (tautologia).
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Durante il terzo paragrafo Kant afferma il concetto di Essere Realissimo, il quale non manca di nessuna realtà, inclusa l’esistenza. Nel caso in cui si neghi quest’ultima, allora è negata anche la sua possibilità interna.
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La contraddizione nasce nel momento in cui il pensiero diventa per l’individuo necessariamente esistente. Ma ecco che si cade in una affermazione priva di valore informativo e quindi vera per definizione. A questo punto se si tratta di una proposizione analitica nel pensiero non avviene modifica. In caso contrario si arriverebbe a voler dedurre a priori l’esistenza intera della cosa.
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Nel caso in cui si ponga come realtà ogni posizione, allora è già contenuta in sè l’esistenza in quanto rientra nel concetto di soggetto.
Nel momento in cui ogni giudizio esistenziale è sintetico,è impossibile negare l’esistenza senza proferire contraddizione, in quanto questo compito spetta ai giudizi analitici.
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Il concetto di soggetto è di per sè esistente, mentre il concetto di determinazione costituisce un predicato aggiuntivo. L’essere, dunque, non è un concetto da aggiungere ad un altro, ma è il concetto in cui le cose si determinano. Infatti affermando “Dio è”,aggiungo semplicemente dei predicati ad un concetto già esistente.
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Il pensiero diviene ingannevole nel momento in cui aggiungo predicati ad esso; infatti questa cosa E’; aggiungendo predicati, il mio pensiero perde veridicità nella sua esistenza. Se mi penso come una Realtà Suprema, resta sempre in dubbio la mia effettiva esistenza. Perciò la mia conoscenza dell’esistente proviene dall’esperienza, mentre i pensieri mi portano ad una conoscenza che potrebbe non corrispondere alla realtà.
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Nel momento in cui si vuole arrivare al contenuto del nostro concetto di un oggetto, è necessario che noi usciamo da esso, per conferirgli l’esistenza effettiva. Negli oggetti dei sensi, questo accade attraverso l’esperienza; negli oggetti del pensiero puro, non vi è mezzo di conoscenza, perchè la loro esistenza dovrebbe essere conoscenza innata. Proprio perchè la nostra coscienza deriva dall’esperienza, un’esistenza fuori di questo campo non si può dichiarare certamente impossibile, ma non è giustificabile. Il concetto di Essere Supremo, ad esempio, è una semplice idea, utile, ma incapace di allargare le nostre conoscenze. Quest’idea (in carattere analitico) non può essere sottoposta a contraddizione, ma poiche la connessione delle proprietà reali avviene tramite l’esperienza, e quindi la possibiità di giudicare è nulla, l’idea non può far parte dell’esperienza stessa.
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Il principio di identità
1)Nella critica alla ragion pura Kant spiega che se in un giudizio identico sopprimo il predicato e mantengo il soggetto, c’è contraddizione, ma se tolgo sia soggetto che predicato, non ho più nulla da contraddire. Kant fa l’esempio del triangolo: se affermo un triangolo e nego i suoi tre angoli è contraddittorio ma se nego il triangolo e i suoi tre angoli non c’è contraddizione. Da questa spiegazione Kant ne trae il concetto di essere assolutamente necessario. Se neghiamo l’esistenza, si nega la cosa stessa e i suoi predicati, non c’è contraddizione; quindi non si contraddice ne esternamente ne internamente perché negando la cosa si è negato tutto l’interno.
2) Dio è onnipotente, è un giudizio necessario. L’onnipotenza non può essere negata, una divinità è un essere infinito, quindi il suo concetto è identico. Ma se Dio non è, allora non abbiamo ne l’onnipotenza né suoi predicati perché sono stati soppressi negando che Dio non è, quindi non vediamo nessuna contraddizione. Quindi si è visto che se io nego il predicato e insieme nego il soggetto non c’è mai contraddizione interna. Quindi ci sono oggetti che non possono essere negati, quindi che sono necessari; il quale presupposto di cui Kant ha dubitato.
3) “L’essere è e non può non essere” Kant afferma che il non essere è negazione di essere ed è, quindi, contraddittorio. L’essere è realismo e possiede tutte le realtà, tra le quali risiede l’esistenza. Se quest’ultima è negata, viene negata la sua possibilità di esistere
4) “L’esistenza di Dio è analitica o sintetica?” Secondo Kant pensare ed immaginare contemporaneamente ad una cosa risulta tautologico. La frase “Dio esiste” è analitica o sintetica? È analitica quando il pensiero di Dio ha in se la sua esistenza. Quindi, si deduce che, o il nostro pensiero coincide con Dio, o è una tautologia.
5) La parola “realtà” si può riferire ad una cosa perché è stata già posta con tutti i suoi predicati; differentemente è invece “esistenza” per un predicato, perché ogni giudizio esistenziale è sintetico e il predicato dell’esistenza si può negare con una contraddizione. 6) La determinazione è un predicato che aggiungendosi al soggetto lo accresce. Essere invece non è un predicato reale che si può aggiungere al concetto di una tale cosa, ma la posizione di determinazioni proprie di quella cosa; nella logica sarebbe la copula di un giudizio. Il giudizio: Dio è onnipotente, ha due concetti con i loro oggetti. Dicendo “Dio è, c’è un Dio”, non si afferma un predicato nuovo dell’idea di tale cosa ma solo il soggetto con altri predicati, cioè l’oggetto del concetto; tali però devono essere identici nel significato. Cento talleri reali sono uguali ai cento talleri possibili, perché questi ultimi rappresentano il concetto mentre i primi l’oggetto. Questi due devono essere uguali; l’oggetto non deve contenere più del concetto altrimenti neanche il concetto sarebbe giusto con quello che dovrebbe significare.
7)Se si riesce a pensare a qualcosa, la cosa certa è che questa cosa è reale, altrimenti non potrei dire con certezza che essa esiste. Se si pensa ad una cosa che però ha un difetto non si potrà aggiungere qualcosa che manca ad essa ma dovremo conoscere quella cosa insieme a quel difetto. Pur essendo la Realtà suprema un essere senza difetti non si ha la certezza della sua esistenza poiché anche se non manca nulla del contenuto reale di una cosa, non è possibile conoscere quell’oggetto a posteriori. Se si tratta di sensi, il concetto e l’esistenza della cosa sono due argomenti differenti in quanto il concetto indica il pensiero di esso attraverso la conoscenza empirica mentre l’esistenza è ciò che riguarda l’intero. 8)Per dire che un oggetto esiste nella realtà noi dobbiamo bisogna osservarlo da lontano, oggetti dei sensi sono dati dalle percezioni mentre oggetti di pensiero non sono pensabili poiché dovrebbero essere conosciuti a priori. Se noi consideriamo l’unità dell’esperienza vediamo che a quest’ultima appartiene la coscienza ma un’esistenza che è diversa da essa risulta ingiustificabile.
9) L’essere Supremo Utilizzare il concetto di essere supremo è strumentale in quanto riconduce ad un’idea di una struttura semplice e di conseguenza limita la nostra conoscenza relativamente a ciò che esiste. Avendo un’unica visione semplice della realtà non vi è nessun contrasto né confutazione ma il legame delle caratteristiche vere di una cosa è il prodotto di un riassunto che non può essere giudicato a prescindere. La caratteristiche delle conoscenze sintetiche vanno necessariamente ricercate nell’esperienza e di certo non possono essere state originate da un’idea e per questo il pensiero di Leibniz è fallace.
Gruppo formato da: Benemio Eleonora, Sisani Rachele, Feleppa Beatrice, Baiocco Elisa, Trabalza Giorgia.
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Io la sintetizzerei così: 6. L’ESISTENZA NON E’ UNA DETERMINAZIONE LOGICA
L’esistenza dunque non è una qualità logica o parte di un concetto, ma la “posizione assoluta di una cosa”, cioè la capacità di una cosa di essere oggetto d’esperienza per qualcuno. Nell’uso logico “è” è soltanto una copula, cioè l’elemento di connessione tra un soggetto e un predicato. 100 talleri reali dunque sono sempre 100 talleri uguali a quelli solo pensati, altrimenti dovremmo dire che i cento talleri pensati sono solo 99. In altre parole, un concetto è perfetto e completo anche se alla cosa che indica manca l’esistenza.
7. PENSARE UNA COSA ATTRIBUENDOLE QUALUNQUE PREDICATO NON AGGIUNGE NULLA AL SUO CONCETTO
8. L’ESISTENZA VA CONSTATATA NON DIMOSTRATA RAZIONALMENTE
Qualunque sia il contenuto del concetto, per dire che esiste ci dobbiamo collocare fuori del concetto stesso; cioè dobbiamo farne esperienza. Ci è possibile per gli enti materiali, ma non per gli oggetti di pensiero puro che devono essere conosciuti interamente a priori. Ciò significa che degli oggetti di cui non si può fare esperienza e che, contemporaneamente, non possono essere conosciuti a priori, non è possibile dichiarare l’esistenza.
9. Il concetto di un essere supremo è un’idea molto utile, ma è un’idea che non espande la nostra conoscenza, perché questo non può essere conosciuto né a priori, né a posteriori, con buona pace del celebre Leibniz, il quale ha arricchito la sua conoscenza come un mercante potrebbe appesantire la sua borsa con 100 talleri solo pensati.
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